La Bottega del Tentativo
rotte mediterranee... nel mare delle differenze... per uscire dal labirinto
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giovedì 25 luglio 2024
L'immagine indirizza il cuore
mercoledì 10 luglio 2024
Sinceramente scusa
Le guance rosse
Un romanzo di Carlo Scalfaro
Ci sono storie che non saranno mai raccontate, i cui protagonisti sono morti portandosi nell'infinito vicende incomprensibili, sofferenze e violenze senza riparo.
Tra le "amate" mura domestiche la barbarie si confonde con la routine e la brutalità con la tenerezza; egoismo e mostruosità sono normalità.
Ci sono storie che preferiamo dimenticare, perché ci ricordano che l'uomo è ferino per natura, ma, nonostante ciò, qualcuno, per fortuna, ce le racconta e ci rammenta che a pagare le conseguenze più amare è la donna, soprattutto a latitudini estreme, dove, quasi mai, la parola può aprire narrazioni o svelare paure.
A queste latitudini afose e soffocanti, la donna, da millenni, è usata come un cencio. Tuttavia, la caparbia forza della vita che abita questa creatura "superiore" non muore, anche se un uomo/bestia cerca col suo fiato pesante e blasfemo di annientarla.
Le donne di questo amaro romanzo di Carlo Scalfaro, grazie alla parola silenziosa ma mai assente, grazie al furore del cuore, lottano per affermare la loro attitudine, il loro essere, la loro essenza, perché sono la base della vita, che fronteggia con coraggio una società arcaica e brutale. Sono Vita, ma non perché il loro ventre ospita altra vita, ma perché il loro sguardo non si abbassa davanti al desiderio di morte che abita il cuore scompensato dell'uomo mannaro.
Un romanzo breve, questo, che le ragazze dovrebbero avere come breviario... i ragazzi? lo leggano pure, e imparino che la donna non è una vagina, ma un universo di armonia, nel quale si può accedere solo danzando, con movenze leggere, che rispettino lo spazio di colei che da sola può dischiudere i confini del dolore, su radure di bellezza e gioia.
Questo libro non è il tentativo di mitizzare il femminile, come certa letteratura maschilista fa da tempo, piuttosto vuole rendere un doveroso omaggio a quella parte di umanità che da sempre viene offesa e oltraggiata senza misura.
martedì 9 luglio 2024
Che cos'è andato perduto?
Una perduta giovinezza
poesie di Annamaria Barreca
venerdì 22 dicembre 2023
Cantando il dolore
Il mio grande NO
poesie politiche
di Annamaria Barreca
Un grande No, è anche un grande Sì, il quale si oppone a tutto ciò contro cui si oppone il proprio No.
La poesia è quello spazio dentro il quale la libertà non può mai venire soppressa: ce lo ricordano i poeti vessati dai regimi, i quali sovente hanno continuato a scrivere anche usando (fuor di metafora) il proprio sangue come inchiostro.
Annamaria Barreca non riesce proprio a digerire la contraddizione del mondo che la circonda; non ammette la noncuranza e, per questo, continua a costruire con la scrittura la sua città ideale. Si chiede anche, e ci chiede, se la poesia, la sua poesia, possa essere un conforto, uno scudo contro il dolore e anche un terreno fertile nel quale seminare il domani.
Nell'epigrafe a questo doloroso libretto, la poetessa carica sulle sue spalle le ombre e la morte, per ridare luce e vita a chi è desideroso di ascoltare ancora la canzone dell'amore eterno.
Un canto che non ha tregua, che travalica i muri di indifferenza, eretti dalla paura. La pioggia della Barreca è lontana dalla feconda acqua del D'annunzio, ma, seppur acida e cada su un paesaggio post-atomico, cerca di ridare fiato a una terra arida e deserta.
Al dolore, alla rabbia, alla violenza, al sopruso, al magma del consumismo, che tutto fagocita, Annamaria Barreca dice NO, lo urla nelle orecchie di tutti coloro che si girano dall'altra parte, a tutti coloro che dormono pensando di essere svegli; a tutti coloro i quali sono morti da tempo e credono di essere vivi, solo perché respirano.
Un libro da leggere e rileggere, per non dimenticare di avere una responsabilità... un dovere... un desiderio da alimentare.
Per amore, solo per amore
Maravigghia
Cunti di Cibi e Luoghidi Maria Grazia Sfameni
Ci sono libri che non sono facilmente classificabili, perché sono il frutto di una commistione di generi. Uno di questi è senz'altro Maravigghia. Cunti di cibi e luoghi, della scrittrice siciliana Maria Grazia Sfameni. Un piccolo libro nel quale lo spazio della narrazione è un tempo non ancora passato e nel quale il tempo è spazio ancora da riempire. Il legame che si crea tra il cibo e il racconto della sua preparazione, genera un ponte, attraversato il quale si entra in un'altra dimensione. In questa nuova "casa" ci si trova subito a proprio agio, perché l'accoglienza è intima e festosa.
Il canto della gioia, la generosità del companatico, il gioco di sguardi e le carezze delle tovaglie di lino o dei tovaglioli ricamati, appena poggiati sulle labbra, generano commozione. Impossibile non sorridere, leggendo queste pagine; impossibile non sentirsi il viso rigato da una lacrima...
Nonostante questo, non siamo innanzi a un libro nostalgico, piuttosto un manuale di cucina che cura; no, non un ricettario (anche se qualche ricetta si trova) ma un libro zen, in grado di distendere il viso e l'anima, come quando si entra nella casa di Auguste Escoffier a Villeneuve-Loubet nel dipartimenti delle Alpi Marittime in Francia. Sono luoghi nei quali la passione è distribuita come zucchero a velo sulla pastiera.
Che dire, occorre entrare in questo libro e ascoltare quello che l'autrice, alla maniera di una cuntatrice esperta, partecipa al lettore. E così, senza accorgersene, si viene ammessi nel regno dei profumi, nel tempio del gusto. Si resta prigionieri e non se ne esce, senza essere posseduti dal desiderio di assaggiare le pietanze che solo una donna innamorata è in grado di creare, non solo per coloro che ama, ma, grazie a questo amore, per tutti quelli che avranno la fortuna di sedere al loro desco.
Un libro da leggere, da condividere, da donare, con amore, soprattutto a chi è ancora in cerca di una casa...
sabato 19 ottobre 2019
Il primo Fumetto italiano
“La guerra è bella anche se fa male”
Durante i primi anni del Novecento nasce in Italia un periodico
destinato a diventare mitico: Il Corriere dei Piccoli, un
giornale che ha fatto da apripista al fumetto italiano e che
esordisce esattamente il 27 dicembre del 1908 come supplemento
illustrato del Corriere della Sera. Esso vive per quasi
novant'anni (l’ultimo numero porta la data del 30 gennaio 1996),
cogliendo le trasformazioni del secolo e traducendole per il suo
giovane e affezionatissimo pubblico.
Il Corriere dei Piccoli ha ospitato narratori e poeti di primo
piano, come Gozzano, Buzzati e Milani, ma anche Anatole France e
Kipling. Fra i suoi grandi meriti c’è quello di aver introdotto in
Italia i Comics americani, già presenti dal primo numero
(Buster Brown di Felton Outcault, Bibì e Bibò di
Rudolph Dirks e Happy Hooligan, nella traduzione italiana noto
come Fortunello, di Burr Opper, solo per citarne alcuni) e di
aver ospitato i migliori disegnatori del nostro paese. Ha fatto
esordire artisti come Antonio Rubino, padre di Quadratino,
Rosaspina, Pino e Pina; Attilio Mussino, ideatore di Bilbolbul,
Schizzo, Mario e Maria. Questi artisti, con l’introduzione
degli ottonari in rima sotto le vignette, hanno inoltre inventato un
“codice” per il fumetto italiano rimasto nell’esperienza
culturale di almeno due generazioni di lettori.
Successivamente il giornale si arricchisce dell’attività di Sergio
“Sto” Tofano, padre del mitico Signor Bonaventura; di
Mario Pompei, creatore di Bice e Baci; di George Mc Manus,
ideatore di Arcibaldo e Petronilla; di Sullivan & Messmer
autori di Felix the Cat - Mio Mao; di Giovanni Manca, autore
di Pier Lambicchi e l’Arcivernice; e di Bruno Angoletta
padre di Marmittone.
I protagonisti di questi “comics” sono spessissimo bambini,
intenti a ordire scherzi, magari anche crudeli, che però, in omaggio
alla morale imperante, alla fine pagano sempre. Ad essi si affiancano
personaggi “adulti”, strani, irregolari, che vivono in mondi poco
rassicuranti.
Fra le righe di questo prodotto, apparentemente innocente, si cerca
di far passare messaggi anarcoidi, dettati da una insofferenza per
gli schemi e in aperto contrasto con l’imperante ideale “borghese”,
tuttavia in pochi se ne avvedono, ma ne godono pienamente i piccoli
italiani di allora, che accolgono con entusiasmo la pubblicazione,
decretandone l’enorme successo.
L’Italia di fine Ottocento è quella che si diverte ancora nelle
piazze guardando i cartelloni dei cantastorie, mentre questi
narrano le vicende di guerre del Ciclo carolingio: dai duelli
di Orlando per la bella Angelica, alle lotte all’ultimo sangue tra
Arabi e Franchi. Questi “lenzuoli” oltre ad essere “sciorinati”
dal cantastorie, sono arricchiti da didascalie, a volte in ottonari
in rima, il metro dei grandi poemi di Ariosto.
Risale alla fine dell’Ottocento anche la diffusione del fumetto,
che ben si inserisce nel quadro dell’adozione delle mode e dei modi
della borghesia internazionale da parte dei ceti privilegiati
italiani. Fa parte della “modernizzazione” in atto. Il fumetto in
Italia trova il suo pubblico soprattutto nel mondo dei ragazzi, così
come lo spettacolo dei cantastorie e dei contastorie
aveva affascinato le generazioni precedenti. Immagini con didascalie
al margine inferiore, disegni che raccontano guerre, duelli e sangue.
Il Corriere dei Piccoli, quindi, da un lato raccoglie
un’eredità, quella dei cartelloni dei cantastorie, e dall’altro
introduce le innovazioni che giungono dagli Stati Uniti. Una tavola
ricca di colori, con scritte e rime, porta nelle case italiane
l’America di Richard Felton Outcault e la Sicilia delle storie
della Chanson de Roland.
Durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale anche questo giornale,
però, viene “requisito” dal “potere” e diviene uno strumento
per la diffusione degli ideali bellici, quindi i suoi fumetti
si trasformano in fumi di guerra. Soprattutto nelle tavole di
Tofolino, Schizzo (apparso dal n. 37 del 1912 al n. 16
del 1919) e Italino. Nel nome di quest’ultimo tutto un
programma: uno sfrenato nazionalismo che esalta la guerra come
diritto, come atto eroico. I nemici vengono messi alla berlina,
derisi e raffigurati sempre come incarnazione di un male che deve
essere distrutto con ogni mezzo, e di questo bisognava convincere
anche i bambini, soprattutto i bambini.
La peculiarità dei fumetti italiani di tale periodo, che li rende
unici, come si è accennato sopra, è anche dovuta ad una scelta
tecnica, infatti essi non hanno la classica nuvoletta che racchiude
le parole di ogni personaggio: tutti i dialoghi sono scritti in
basso, quasi sempre in ottonari in rima, forse perché il pubblico
italiano non è ancora pronto all’innovazione grafica che la
nuvoletta rappresenta e preferisce conservare la tradizione
orale dei cuntisti o forse perché il fumetto italiano non è
figlio di quella leggerezza che si può permettere di volare in una
nuvola: le parole in rima sono pesanti e cadono in basso, sotto i
piedi dei personaggi. La didascalia è una radice, che lega alla
terra e ricorda le miserie umane, fatte di violenza e dolore.
Uno dei maggiori disegnatori del tempo, come si è ricordato, Attilio
Mussino, nato a Torino nel 1878, celebrato ancora oggi come uno dei
più grandi fumettisti italiani, quando esce il primo numero del
Corriere dei Piccoli, il 27 dicembre 1908, è già tra i
collaboratori e pubblica in quello storico numero il primo “fumetto”
italiano, una tavola con la storia del piccolo nero Bilbolbul.
Anche Schizzo è uno dei suoi personaggi e sarà tra quelli
utilizzati per propagandare le “imprese” militari italiane,
esaltando nazionalismo e colonialismo, due dei mali, comuni alle
nazioni industrializzate, che porteranno allo scoppio della Prima
guerra mondiale.
In un’epoca in cui non c’è il televisore, e la radio non può
trovarsi, per ragioni economiche, nelle case di tutti, il mezzo che
consente alle idee di circolare con maggiore facilità è la carta
stampata e, tra i meno acculturati che non possono leggere lunghi
testi scritti, il fumetto, conseguentemente, diventa mezzo da
utilizzare per fini politici e propagandistici.
Quelle di Tofolino, Schizzo e Italino, sono tavole dipinte, a
colori, che su un giornale fanno effetto: nell’Italia di inizio
Novecento non si è abituati al colore, quindi le tavole del
Corrierino attirano anche gli adulti, non solo i ragazzi: tutti
leggono i fumetti che esaltano la guerra, che mostrano gli “eroini”
del Corriere dei Piccoli impegnati in battaglie, alle prese
con bombe ed esplosivi, pronti a sconfiggere il nemico, chiunque esso
sia.
Su quei fogli mitici, Tofolino, Italino e Schizzo sono
ologrammi e scintille, macchie di colore ipnotizzanti, ideate per
coinvolgere le masse, per convincere che la guerra è bella anche
se fa male, come dice la canzone del cantautore Francesco De
Gregori. Questi fumetti Italiani dei primi del Novecento non sono
semplici storie illustrate di guerra: essi rappresentato il volgare
tentativo di convincere le masse che la guerra è l’unico mezzo,
l’unica via, ma che inoltre non è poi così pericolosa, perché
basta buttare una bomba ed il nemico viene annientato. In queste
tavole del Corriere dei Piccoli, il nemico è spesso un
mostro, un essere deforme. A chi farebbe impressione o dispiacere
uccidere un mostro, magari nero e con l’osso al naso? Per chi non
era mai stato in Africa, i neri dell’Etiopia e dell’Eritrea erano
esattamente come venivano illustrati dai fumetti.
La realtà è ben diversa, il nemico non è carne da macello, ma
essere umano di spirito e materia. Prima di accorgersi di questo,
l’Europa e il Mondo industrializzato, e quindi l’Italia, hanno
immaginato e messo in atto il colonialismo e due terribili guerre
mondiali, l’ultima delle quali semi-atomica.
I fumetti hanno più volte reclamizzato la violenza, come nel caso
del Corriere dei Piccoli di quegli anni, più o meno
direttamente, a seconda dei venti.
Nel dopoguerra, terminato il periodo in cui il Corriere dei
Piccoli viene utilizzato a fini propagandisitici, i fumetti
“moderni”, quelli con le “nuvolette”, guadagnano terreno.
Tutto diventa più leggero: le parole cominciano a volare. Grandi
storie d’avventura come Prince Valiant di Harold Foster o
Anna della Giungla di Hugo Pratt trasformano l’immagine del
Corrierino, aprendo la strada alle ragazze moderne di Grazia
Nidasio e alle gallerie di personaggi di Cimpellin e Battaglia.
L’ultima stagione interessante del giornale è quella degli anni
’60-’70, in cui l’ormai storico foglio ospita grandi personaggi
come Lucky Luke, Luc Orient, Spirù e Fantasio.
Il Corrierino, in questa ultima fase, cede il testimone al
Corriere dei ragazzi, sul quale compaiono le vicende di Lord
Shark, nome che dà anche il titolo ad una serie a fumetti con
testi di Mino Milani e disegni di Giancarlo Alessandrini e
successivamente di Enric Siò, comparsa sul Corriere dei ragazzi
tra il 1975 e il 1976.
La serie è ambientata nell’India di metà Ottocento sotto il
dominio britannico. Protagonista è un ufficiale inglese, di nobile
famiglia e con uno scandalo alle spalle che lo ha costretto a
prendere servizio in un posto nella frontiera settentrionale, dove ha
modo di dimostrare il suo eccezionale coraggio in vari combattimenti
con ribelli e predoni delle montagne.
La sua fuga in India è legata al rifiuto di condurre all’altare
una ragazza che non lo ama, nonostante le famiglie avessero
preconfezionato il matrimoni. Lui scappa fingendosi vigliacco, ma in
realtà lo fa per consentire a lei di sposare l’uomo di cui è
innamorata.
In India, il nostro protagonista viene catturato da un capo ribelle e
trascorre molte settimane in condizioni di prigionia tremende, nel
frattempo i suoi commilitoni vengono uccisi ad uno ad uno, ma lui
ottiene la libertà perché in un’occasione precedente aveva
salvato senza saperlo la vita al figlio del capo. Quando ritorna al
suo accampamento viene imprigionato dal suo comandante, furente con
lui perché, sfinito, non è in grado di rispondere alle sue domande.
Decide così di disertare, aiutato dal suo attendente indiano e, per
una serie di circostanze fortunose, si ritrova a capo di una banda di
predoni. Con il nome di Lord Shark attua una sfilza di colpi
ai danni degli inglesi, limitando al massimo lo spargimento di
sangue, ma mettendo in ridicolo sistematicamente i suoi compatrioti,
come una specie di Robin Hood indiano.
Tra le pagine del Corriere dei ragazzi, finalmente, la guerra
non è più un atto eroico, perché il vero eroismo risiede in
un’etica dell’altruismo e della pace, ed il fumetto che tratta
questo tema lo fa in modo critico e giammai adulatorio, perché la
guerra è brutta e fa male.