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martedì 18 novembre 2014

Che cosa fanno oggi i filosofi?



Cari Alunni delle Terze As e Bs.... dopo la lettura dell'articolo fatta in classe, lasciate una vostra riflessione...

Umberto Eco e Norberto Bobbio rispondono alla domanda «che cosa fanno oggi i filosofi?». In questi brevi passi viene ribadita la nozione di filosofia come "domanda" e "ricerca di senso". 

U. Eco. Cos'è la filosofia? Scusate il mio conservatorismo banale, ma non trovo ancora di meglio che la definizione che ne dà Aristotele nella Metafisica: è la risposta a un atto di meraviglia. Vogliamo tradurlo in termini molto, molto contemporanei, dopo la "logica delle rivoluzioni scientifiche" di Thomas Kuhn? È la sensazione che nel paradigma qualcosa non funzioni. Un paradigma è un insieme, una costruzione di regole e di principi alla quale ogni scienza del tempo si attiene. Ogni tanto appare una frattura: il paradigma si disfa, ne nasce un altro. Il momento della filosofia è quell'atto che avviene quando si ha l'impressione che il paradigma così com'è si muova a vuoto e al suo interno si facciano ormai solo giochi enigmistici. René Thom potrebbe dire che ogni gesto filosofico è una catastrofe (nel senso non banale del termine). 
Quindi la filosofia è necessariamente atecnica e non scientifica. Usa per lo più come categorie delle grandi metafore, scavalca i confini delle scienze perché, provando malessere per i paradigmi troppo stretti, cerca di mettere in contatto universi diversi. Quindi è sempre una forma di alto dilettantismo, in cui qualcuno, per tanto che abbia letto, parla sempre di cose su cui non si è preparato abbastanza. Ciò non esclude che facendo queste operazioni di alto dilettantismo ogni filosofia poi non produca un sistema coerente di nozioni, di categorie; a quel punto lentamente diventa scienza. L'ottanta per cento di quella che Aristotele ci passava per filosofia, è poi diventata scienza e di filosofico è rimasto pochissimo. 
Quindi, quando nasce, la filosofia è inutile perché va contro una utilità riconosciuta, che si definisce come scienza particolare; quando comincia a diventare utile, effettivamente è diventata utile perché probabilmente ha prodotto una scienza, ma a quel punto non è più filosofia, almeno nel senso in cui la sto definendo. Può continuare a essere attività accademica, didattica, insegnamento di quella che era stata la filosofia di partenza. La filosofia ha vita brevissima. [...] 

N. Bobbio. Davanti a ogni più piccolo problema ci poniamo sempre due perché: un perché causale e un perché finale. Ovvero: 1) quali sono le cause per cui accade quello che accade? 2) perché è accaduto proprio quello che è accaduto? e non altro? O meglio: in quale disegno generale dell'universo si inserisce l'accadimento di cui conosciamo perfettamente le cause che l'hanno prodotto? In altre parole, nell'un caso si tratta di spiegare un fatto, nel secondo di giustificarlo. Il sapere scientifico quando riesce, dà una risposta al primo perché. Non al secondo. 
Facciamo un esempio qualunque tratto dall'esperienza quotidiana. Leggiamo sul giornale che in uno scontro fra due macchine alcuni sono morti e altri sono rimasti vivi. Perché alcuni siano morti e altri siano rimasti vivi è dal punto di vista causale perfettamente conoscibile: dipende dal modo con cui è avvenuto l'urto, dalla posizione dei viaggiatori e da tanti altri elementi che un esperto è in grado di ricostruire. Ma siamo in grado di dare una risposta a que¬st'altra domanda: perché (e in questo caso "perché" significa non per quale causa ma per quale ragione finale) sono morti questi e non quelli? Esiste un disegno generale dell'universo che possa non solo spiegare causalmente, ma giustificare finalisticamente quello che è accaduto? E se esiste, quei disegno dell'universo, qual è? 
Ecco cosa significa la domanda di senso. Altro è chiedersi per quale causa, empiricamente conoscibile, è avvenuto quell'incidente: altro chiedersi qual è il senso di questo incidente. Siamo in grado di dare una risposta a questa domanda? 
Proviamo un po'. Se rispondiamo che l'universo è regolato dalla necessità o dal caso, la domanda di senso scusatemi il bisticcio non ha più alcun senso. Quello che accade doveva accadere: necessità. Quello che accade poteva anche non accadere: il caso. Solo se riteniamo che l'universo sia governato da una Provvidenza, alla cui decisione nulla di quanto accade è sottratto, siamo indotti a ritenere che quelle morti e quelle vite abbiano un senso perché lo ricevono da questa volontà previdente e provvidente. Ma cos'è questo senso? Se rispondiamo che quella volontà è, come dobbiamo rispondere, imperscrutabile, allora sappiamo soltanto che l'accadimento deve avere un senso, ma non sappiamo qual è. A questo punto ci viene un sospetto. Forse non è vero che quell'avvenimento ha senso perché esiste una Provvidenza, ma è vero l'opposto: noi suppongo un governo provvidente unicamente perché desideriamo ardentemente che quell'avvenimento abbia un senso soprattutto, poi, se si tratta di un avvenimento che, ci tocca da vicino. 
Questo è un piccolo esempio, ma la domanda di senso si allarga, si estende a tutta la nostra vita individuale, a tutta la storia dell'uomo, a tutto l'universo. Rispetto all'individuo, perché il dolore e non anche il piacere e non soltanto il piacere? Perché la sofferenza e non soltanto la gioia. Perché l'infelicità e non soltanto la felicità? Rispetto alla storia: perché l'oppressione e non soltanto la libertà? Perché la guerra, la violenza, le stragi e non soltanto la pace, il benessere e la fraternità? Rispetto all'universo intero, infine, la domanda fondamentale che comprende tutte le altre: perché l'essere e non il nulla? Non so se riesco a far capire la pregnanza di questa domanda che è davvero la domanda ultima. Perché ci sono cose, uomini, animali, piante, stelle, galassie, in una parola il mondo e non invece il non mondo? [...] I due mali contro cui la ragione filosofica ha sempre combattuto e deve combattere ora più che mai , sono, da un lato, il non credere a nulla; dall'altro, la fede cieca. Insomma tener viva la fede nella ragione contro coloro che non credono neppure nella ragione, che io chiamo i meno che credenti, e contro coloro che credono senza ragionare, cioè i più che credenti. Questo è il compito umile, molto umile ma necessario, della filosofia: un compito da sentinella, più che presuntuosamente da «guida». La sentinella che deve stare ad ascoltare l'avvicinarsi del nemico, da qualunque parte provenga, e dare l'allarme prima che sia troppo tardi. 

mercoledì 12 novembre 2014

La Filosofia al Femminile




Luce Irigaray nasce a Blaton (Belgio) il 3 maggio 1930. Studia filosofia presso l'Università di Lovanio e si laurea nel 1955. Dopo aver insegnato in un liceo di Bruxelles, si trasferisce in Francia. Nel 1961 riceve una laurea in psicologia presso l'Università di Parigi e nel 1962 il Diploma di psicopatologia. Dal 1962 al 1964 lavora per la Fondazione Nazionale della Ricerca Scientifica in Belgio. Dopodiché inizia a lavorare come assistente presso il Centro Nazionale della Ricerca Scientifica di Parigi, dove è attualmente direttrice di ricerca. Nel 1968 riceve un Dottorato in Linguistica. Nel 1969 analizza Antoniette Fouque, una leader femminista dell'epoca. Dal 1970 al 1974 insegna presso l'Università di Vincennes. In questo periodo diventa un membro dell'EFP (Ecole Freudienne de Paris, fondata daJacques Lacan). Nel 1974 pubblica la sua tesi di dottorato Speculum, de l’autre femme dove critica con pungente ironia il pensiero diFreud e di Lacan sulla sessualità femminile. Questo libro, che provoca molte polemiche, segna la sua rottura con Lacan e la porta alla sospensione dall’incarico di insegnante presso l’università di Vincennes. Irigaray riesce a trovare un nuovo pubblico nei circoli femministi a Parigi (viene inoltre coinvolta in manifestazioni per la contraccezione e per il diritto all'aborto). Tiene molti seminari e conferenze in tutta Europa, decine dei quali vengono racconti e pubblicati (Oltre i propri confini, Baldini Castoldi Dalai, 2007). Il lavoro della Irigaray influenzerà i movimenti femministi francesi e italiani per alcuni decenni. Nel 1982 ottiene la cattedra di filosofia all'Università Erasmus di Rotterdam (la sua attività di ricerca in questa facoltà porta alla pubblicazione dell’opera Etica della differenza sessuale). Nel 1991 viene eletta deputata al Parlamento Europeo. Nel 1993 scrive, direttamente in italiano, Amo a te. Nel dicembre 2003 l’Università di Londra le conferisce la laurea honoris causa in letteratura. Dal 2004 al 2006 è stata visiting professor nel dipartimento di Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Nottingham. Nel 2007 viene affiliata con l'Università di Liverpool. Nel 2008 le viene assegnata la laurea honoris causa in Letteratura dallo University College di Londra.
Un’ospitalità che si preoccupa dell’accoglienza dell’altro nel rispetto della differenza e delle differenze richiede che non ci si confini nel passato, nella storia individuale o collettiva, ma che si presti attenzione al presente dell’incontro e al futuro che si può costruire insieme. In generale, il passato ci ha diviso e non unito. Il tentativo di costruire un mondo comune, anche se solo per il tempo di un incontro, non può essere portato avanti favorendo le proprie rispettive storie, ma trascendendole, senza ripudiarle, verso un divenire umano ancora in fieri e che dobbiamo creare attraverso scambi rispettosi tra di noi. La nostra epoca non deve più dedicarsi esclusivamente all’etnologia, all’osservazione di altri popoli e altre civilizzazioni o a un turismo più o meno scientificamente culturale, ma concentrarsi sulla costruzione di una cultura umana globale che unisca, e superi, tutte le diverse modalità di divenire umani e le diverse culture che sono state elaborate fino ad ora. Tutti i gesti, inclusi quelli linguistici, che tendono a un’ospitalità reciproca, non possono obbedire a una logica definita da una civilizzazione già esistente, devono invece essere inventati singolarmente, in particolare durante il tempo dell’incontro.

Ci sono culture in cui l'ospitalità non è un problema, ma una pratica quotidiana, un modo di essere al mondo, una declinazione della vita. Si tratta di culture principalmente femminili, per cui il mondo e la vita sono aperti all'altro, all'incontro, allo scambio, rifiutando qualsiasi dinamica di conflitto. Oggi il nostro mondo è dominato da modelli culturali maschili, che impongono i loro codici e le loro prospettive di chiusura e guerra contro l'altro. Se il mondo vuole pensarsi come spazio di pace e apertura deve recuperare l'antica legge dell'ospitalità femminile. Luce Irigaray ripercorre, a partire dalla civiltà greca, le tracce di queste leggi originarie, per elaborare un nuovo pensiero etico, politico e architettonico dell'ospitalità.

sabato 16 agosto 2014

In una Sicilia estrema e Mediterranea di F. Idotta



Sicilia, da Messina a Trapani, un viaggio perpendicolare attraverso il quale la prorompente dinamicità del Mediterraneo finisce per possedere ogni fibra cerebrale. La luce del sole stringe le palpebre e allarga l’orizzonte. Procedendo verso Ovest ci si ritrova su un confine temporale, il quale muta incessantemente e conduce nella fissità del passato.
L’autostrada è dritta come il vento che taglia i ponti, tra una galleria e l’altra. La Messina-Palermo, in alcuni tratti, lascia intravvedere l’accaduto, fatto di carretti e agrumeti. La dolcezza del ricordo, di tutto ciò che vuol dire Sicilia, Sud. Non è mai un luogo comune: è una terra colta, Trinacria, pregna di zagara sfacciata e di palmizi svettanti, una paralisi visiva, che accalappia lo sguardo come la sfera di un negromante. La magia del sole cocente impedisce di pensare che anche qui possa arrivare l’inverno.
La macchina scorre sull’asfalto infuocato, la calura di agosto rende l’orizzonte rarefatto, sullo sfondo Tindari, che si staglia sul mare, verso la spiaggia dell’Armata Brancaleone di Monicelli.
Passaggi e paesaggi, transiti terreni ma metafisici: vanno oltre ciò che i sensi percepiscono, perché un viaggio in Sicilia trasporta là dove non si potrà mai giungere con la fantasia.
La prima sosta all’autogrill ti pone davanti vini alle mandorle, limoncelli e maioliche di Caltagirone. Ti senti in un continente Altro, quando prendi tra le mani i libri dei piccoli editori isolani, isolati… dalla storia di Giuliano, il bandito, alla leggenda della baronessa di Carini. Sangue e schioppettate, temperamento e coltellate. Sapere che l’impronta della baronessa è stata cancellata da un guardiano del castello di Carini, perché stufo di essere disturbato dai turisti, la dice lunga… follia mediterranea, arabitudine, ibericità, tutto fuorché sogno… qui ogni cosa è reale, come nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel, salvo scoprire che quella assurda necessità, di cui ogni siciliano si sente parte, è solo frutto della sua innata voglia di restare isolano.
Si giunge a Palermo trovandosi davanti una montagna brulla che si getta nel Mediterraneo con riluttanza, come se non volesse bagnarsi i piedi. Resta lì ad attendere che arrivi l’onda e porti via l’obbrobrio delle ciminiere inquinanti, l’unico monumento che la mafia possa concepire, anche se ha dovuto subirne un altro: le orrende colonne sulla Palermo-Capaci in ricordo della strage  delle stragi. Orrendo perché ricorda l’orrore e tradisce il senso di quelle morti, causate anche dall’abusivismo edilizio, che ha deturpato il capoluogo di un’isola selvaggia e brutale, rendendolo barbaro e spietato: nessun uomo può vivere nella disarmonia, senza rimanere contaminato dall’oscenità.
Superata Palermo ecco la meraviglia del rosso siciliano, le montagne ferrose e splendenti che assorbono sole come fossero pannelli solari. Scenari lunari, si potrebbe dire, ma siccome non siamo mai stati sulla Luna ci limitiamo a dire, vedute siciliane. Di alberi nemmeno l’ombra, solo qualche mandorlo e qua e là vigneti, casolari… pietre e pietre e ci si rende conto che era necessario emigrare... Solcare ogni giorno quei sassi taglienti, a piedi scalzi, per correre dal barone a rotta di collo, per portare quattro erbacce a casa per cena… meglio morire su un barcone diretto alla Merica. Che fine ha fatto la Conca d’oro? Pare abbia lasciato il posto a villaggi turistici rosati, pare abbia ceduto il passo alle forze centrifughe dei tour operator… alle furberie di un’illusione. La meta è vicina, quei luoghi in cui la giostra estiva fa girar la testa. Si sente nell’aria l’odore di sale, di cuscus, di dolci e pesci rilucenti.
Balata di Baida, Custonaci, Castelluzzo, Macari ed ecco San Vito lo Capo, come una visione. Sembra di essere in Africa settentrionale. Case basse col cortile interno per difendersi dalle sferzate del sole, vie parallele per permettere alla brezza marina di rinfrancare lo spirito e il corpo. Sotto la roccia granitica che si erge sul mare basso la spiaggia delle conchiglie si insinua nella mente, così come la sua sabbia tra le dita. Gusci bianchi e delicati, eterei alla maniera della serenità. Un folto tappeto di alghe, e i cristalli dell’acqua entrano tra le fibre del costume, ricordando che la verginità della natura può rendere ogni uomo più uomo.
La bellezza passa anche per la bocca, attraverso la sensuale fragranza della sfoglia di un cannolo con ricotta e canditi; la fresca esuberanza di un gelato al pistacchio o la travolgente voluttà di una cassata spudorata.
La Valderice conquista con i suoi profumi di finocchio selvatico, i bassi uliveti su terra rossa e la ghiaia chiara che abbaglia. La strada per Erice è una poesia di sguardi, tornanti tra pinete odorose e poi il mare e la costa… un passo al di là di ogni desiderio.
Nel piccolo giardinetto di Maria Grammatico, la pasticcera della gioia, i cannoli e le cassatine sanno di mito… e in bocca non assapori zucchero, ma vita, con le sue straordinarie sorprese.
Verso Marsala, alla volta delle saline, il vento sferza la distesa bianca, mentre la calura di una domenica di fine agosto rende deserta la città di Garibaldi. Le strade sono linee casuali in cui perdersi, per ritrovare il nesso attraverso la musica di padre Jan Paul, che nella canonica ci intrattiene cantando in francese, la lingua del Benin. Con la sua dolce determinazione africana, con la sua fede rivoluzionaria ha riempito la chiesa… si mangia insieme, in questo angolo di Mediterraneo, si gustano gli spaghetti con pomodoro e basilico bagnati da un rosso d’Avola lussurioso.
Nella punta estrema dell’Italia, dove i colori sono una ricchezza, dove la diversità diviene parola di verità, il mondo si fa grande, si espande per fare posto alla felicità di un incontro con l’Altro.



lunedì 24 febbraio 2014

Le idee del tempo... riflessioni e bioetica


Ha scritto una volta Hegel che la filosofia giunge sempre troppo tardi, giunge cioè quando “tutto è accaduto”. Il suo compito è allora quello di comprendere ciò che è accaduto, di riflettere su quanto, nel rumoroso tumulto della vita storica, è stato, nel bene e nel male, realizzato. Nella seconda metà del Novecento tante cose sono accadute: le “bombe” di Hiroshima e Nagasaki hanno rivelato l’immenso potere della scienza; si è giunti alla consapevolezza che il mondo ancora rinserra “schiavi e lacrime”; l’ingegneria genetica ha aperto mille incognite sul futuro, imboccando una strada che potrebbe rivelarsi senza ritorno. Di fronte a tutto questo la filosofia ha reagito ponendo il problema della responsabilità degli scienziati, quello della pace, dei diritti umani, dei problemi etici connessi alle nuove frontiere della medicina. Sono queste le “idee del tempo” discusse in questo libro: e se tra di esse hanno maggiore spazio quelle relative alla bioetica, ciò è dovuto al fatto che i problemi morali che questa pone sono i più vicini a quelli della filosofia, essendo da sempre l’etica uno dei suoi oggetti privilegiati.

giovedì 16 gennaio 2014

Mario Rigoni Stern...


«Il momento culminante della mia vita non è stato quando ho vinto premi letterari, o ho scritto libri, ma quando la notte dal 15 al 16 sono partito da qui sul Don con 70 alpini e ho camminato verso occidente per arrivare a casa, e sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo, e riuscire a partire dalla prima linea organizzando lo sganciamento, quello è stato il capolavoro della mia vita…» (da Ritratti: Mario Rigoni Stern di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini)