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sabato 16 agosto 2014

In una Sicilia estrema e Mediterranea di F. Idotta



Sicilia, da Messina a Trapani, un viaggio perpendicolare attraverso il quale la prorompente dinamicità del Mediterraneo finisce per possedere ogni fibra cerebrale. La luce del sole stringe le palpebre e allarga l’orizzonte. Procedendo verso Ovest ci si ritrova su un confine temporale, il quale muta incessantemente e conduce nella fissità del passato.
L’autostrada è dritta come il vento che taglia i ponti, tra una galleria e l’altra. La Messina-Palermo, in alcuni tratti, lascia intravvedere l’accaduto, fatto di carretti e agrumeti. La dolcezza del ricordo, di tutto ciò che vuol dire Sicilia, Sud. Non è mai un luogo comune: è una terra colta, Trinacria, pregna di zagara sfacciata e di palmizi svettanti, una paralisi visiva, che accalappia lo sguardo come la sfera di un negromante. La magia del sole cocente impedisce di pensare che anche qui possa arrivare l’inverno.
La macchina scorre sull’asfalto infuocato, la calura di agosto rende l’orizzonte rarefatto, sullo sfondo Tindari, che si staglia sul mare, verso la spiaggia dell’Armata Brancaleone di Monicelli.
Passaggi e paesaggi, transiti terreni ma metafisici: vanno oltre ciò che i sensi percepiscono, perché un viaggio in Sicilia trasporta là dove non si potrà mai giungere con la fantasia.
La prima sosta all’autogrill ti pone davanti vini alle mandorle, limoncelli e maioliche di Caltagirone. Ti senti in un continente Altro, quando prendi tra le mani i libri dei piccoli editori isolani, isolati… dalla storia di Giuliano, il bandito, alla leggenda della baronessa di Carini. Sangue e schioppettate, temperamento e coltellate. Sapere che l’impronta della baronessa è stata cancellata da un guardiano del castello di Carini, perché stufo di essere disturbato dai turisti, la dice lunga… follia mediterranea, arabitudine, ibericità, tutto fuorché sogno… qui ogni cosa è reale, come nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel, salvo scoprire che quella assurda necessità, di cui ogni siciliano si sente parte, è solo frutto della sua innata voglia di restare isolano.
Si giunge a Palermo trovandosi davanti una montagna brulla che si getta nel Mediterraneo con riluttanza, come se non volesse bagnarsi i piedi. Resta lì ad attendere che arrivi l’onda e porti via l’obbrobrio delle ciminiere inquinanti, l’unico monumento che la mafia possa concepire, anche se ha dovuto subirne un altro: le orrende colonne sulla Palermo-Capaci in ricordo della strage  delle stragi. Orrendo perché ricorda l’orrore e tradisce il senso di quelle morti, causate anche dall’abusivismo edilizio, che ha deturpato il capoluogo di un’isola selvaggia e brutale, rendendolo barbaro e spietato: nessun uomo può vivere nella disarmonia, senza rimanere contaminato dall’oscenità.
Superata Palermo ecco la meraviglia del rosso siciliano, le montagne ferrose e splendenti che assorbono sole come fossero pannelli solari. Scenari lunari, si potrebbe dire, ma siccome non siamo mai stati sulla Luna ci limitiamo a dire, vedute siciliane. Di alberi nemmeno l’ombra, solo qualche mandorlo e qua e là vigneti, casolari… pietre e pietre e ci si rende conto che era necessario emigrare... Solcare ogni giorno quei sassi taglienti, a piedi scalzi, per correre dal barone a rotta di collo, per portare quattro erbacce a casa per cena… meglio morire su un barcone diretto alla Merica. Che fine ha fatto la Conca d’oro? Pare abbia lasciato il posto a villaggi turistici rosati, pare abbia ceduto il passo alle forze centrifughe dei tour operator… alle furberie di un’illusione. La meta è vicina, quei luoghi in cui la giostra estiva fa girar la testa. Si sente nell’aria l’odore di sale, di cuscus, di dolci e pesci rilucenti.
Balata di Baida, Custonaci, Castelluzzo, Macari ed ecco San Vito lo Capo, come una visione. Sembra di essere in Africa settentrionale. Case basse col cortile interno per difendersi dalle sferzate del sole, vie parallele per permettere alla brezza marina di rinfrancare lo spirito e il corpo. Sotto la roccia granitica che si erge sul mare basso la spiaggia delle conchiglie si insinua nella mente, così come la sua sabbia tra le dita. Gusci bianchi e delicati, eterei alla maniera della serenità. Un folto tappeto di alghe, e i cristalli dell’acqua entrano tra le fibre del costume, ricordando che la verginità della natura può rendere ogni uomo più uomo.
La bellezza passa anche per la bocca, attraverso la sensuale fragranza della sfoglia di un cannolo con ricotta e canditi; la fresca esuberanza di un gelato al pistacchio o la travolgente voluttà di una cassata spudorata.
La Valderice conquista con i suoi profumi di finocchio selvatico, i bassi uliveti su terra rossa e la ghiaia chiara che abbaglia. La strada per Erice è una poesia di sguardi, tornanti tra pinete odorose e poi il mare e la costa… un passo al di là di ogni desiderio.
Nel piccolo giardinetto di Maria Grammatico, la pasticcera della gioia, i cannoli e le cassatine sanno di mito… e in bocca non assapori zucchero, ma vita, con le sue straordinarie sorprese.
Verso Marsala, alla volta delle saline, il vento sferza la distesa bianca, mentre la calura di una domenica di fine agosto rende deserta la città di Garibaldi. Le strade sono linee casuali in cui perdersi, per ritrovare il nesso attraverso la musica di padre Jan Paul, che nella canonica ci intrattiene cantando in francese, la lingua del Benin. Con la sua dolce determinazione africana, con la sua fede rivoluzionaria ha riempito la chiesa… si mangia insieme, in questo angolo di Mediterraneo, si gustano gli spaghetti con pomodoro e basilico bagnati da un rosso d’Avola lussurioso.
Nella punta estrema dell’Italia, dove i colori sono una ricchezza, dove la diversità diviene parola di verità, il mondo si fa grande, si espande per fare posto alla felicità di un incontro con l’Altro.