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sabato 19 ottobre 2019

Il primo Fumetto italiano

“La guerra è bella anche se fa male”






Durante i primi anni del Novecento nasce in Italia un periodico destinato a diventare mitico: Il Corriere dei Piccoli, un giornale che ha fatto da apripista al fumetto italiano e che esordisce esattamente il 27 dicembre del 1908 come supplemento illustrato del Corriere della Sera. Esso vive per quasi novant'anni (l’ultimo numero porta la data del 30 gennaio 1996), cogliendo le trasformazioni del secolo e traducendole per il suo giovane e affezionatissimo pubblico.
Il Corriere dei Piccoli ha ospitato narratori e poeti di primo piano, come Gozzano, Buzzati e Milani, ma anche Anatole France e Kipling. Fra i suoi grandi meriti c’è quello di aver introdotto in Italia i Comics americani, già presenti dal primo numero (Buster Brown di Felton Outcault, Bibì e Bibò di Rudolph Dirks e Happy Hooligan, nella traduzione italiana noto come Fortunello, di Burr Opper, solo per citarne alcuni) e di aver ospitato i migliori disegnatori del nostro paese. Ha fatto esordire artisti come Antonio Rubino, padre di Quadratino, Rosaspina, Pino e Pina; Attilio Mussino, ideatore di Bilbolbul, Schizzo, Mario e Maria. Questi artisti, con l’introduzione degli ottonari in rima sotto le vignette, hanno inoltre inventato un “codice” per il fumetto italiano rimasto nell’esperienza culturale di almeno due generazioni di lettori.
Successivamente il giornale si arricchisce dell’attività di Sergio “Sto” Tofano, padre del mitico Signor Bonaventura; di Mario Pompei, creatore di Bice e Baci; di George Mc Manus, ideatore di Arcibaldo e Petronilla; di Sullivan & Messmer autori di Felix the Cat - Mio Mao; di Giovanni Manca, autore di Pier Lambicchi e l’Arcivernice; e di Bruno Angoletta padre di Marmittone.
I protagonisti di questi “comics” sono spessissimo bambini, intenti a ordire scherzi, magari anche crudeli, che però, in omaggio alla morale imperante, alla fine pagano sempre. Ad essi si affiancano personaggi “adulti”, strani, irregolari, che vivono in mondi poco rassicuranti.
Fra le righe di questo prodotto, apparentemente innocente, si cerca di far passare messaggi anarcoidi, dettati da una insofferenza per gli schemi e in aperto contrasto con l’imperante ideale “borghese”, tuttavia in pochi se ne avvedono, ma ne godono pienamente i piccoli italiani di allora, che accolgono con entusiasmo la pubblicazione, decretandone l’enorme successo.
L’Italia di fine Ottocento è quella che si diverte ancora nelle piazze guardando i cartelloni dei cantastorie, mentre questi narrano le vicende di guerre del Ciclo carolingio: dai duelli di Orlando per la bella Angelica, alle lotte all’ultimo sangue tra Arabi e Franchi. Questi “lenzuoli” oltre ad essere “sciorinati” dal cantastorie, sono arricchiti da didascalie, a volte in ottonari in rima, il metro dei grandi poemi di Ariosto.
Risale alla fine dell’Ottocento anche la diffusione del fumetto, che ben si inserisce nel quadro dell’adozione delle mode e dei modi della borghesia internazionale da parte dei ceti privilegiati italiani. Fa parte della “modernizzazione” in atto. Il fumetto in Italia trova il suo pubblico soprattutto nel mondo dei ragazzi, così come lo spettacolo dei cantastorie e dei contastorie aveva affascinato le generazioni precedenti. Immagini con didascalie al margine inferiore, disegni che raccontano guerre, duelli e sangue. Il Corriere dei Piccoli, quindi, da un lato raccoglie un’eredità, quella dei cartelloni dei cantastorie, e dall’altro introduce le innovazioni che giungono dagli Stati Uniti. Una tavola ricca di colori, con scritte e rime, porta nelle case italiane l’America di Richard Felton Outcault e la Sicilia delle storie della Chanson de Roland.
Durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale anche questo giornale, però, viene “requisito” dal “potere” e diviene uno strumento per la diffusione degli ideali bellici, quindi i suoi fumetti si trasformano in fumi di guerra. Soprattutto nelle tavole di Tofolino, Schizzo (apparso dal n. 37 del 1912 al n. 16 del 1919) e Italino. Nel nome di quest’ultimo tutto un programma: uno sfrenato nazionalismo che esalta la guerra come diritto, come atto eroico. I nemici vengono messi alla berlina, derisi e raffigurati sempre come incarnazione di un male che deve essere distrutto con ogni mezzo, e di questo bisognava convincere anche i bambini, soprattutto i bambini.
La peculiarità dei fumetti italiani di tale periodo, che li rende unici, come si è accennato sopra, è anche dovuta ad una scelta tecnica, infatti essi non hanno la classica nuvoletta che racchiude le parole di ogni personaggio: tutti i dialoghi sono scritti in basso, quasi sempre in ottonari in rima, forse perché il pubblico italiano non è ancora pronto all’innovazione grafica che la nuvoletta rappresenta e preferisce conservare la tradizione orale dei cuntisti o forse perché il fumetto italiano non è figlio di quella leggerezza che si può permettere di volare in una nuvola: le parole in rima sono pesanti e cadono in basso, sotto i piedi dei personaggi. La didascalia è una radice, che lega alla terra e ricorda le miserie umane, fatte di violenza e dolore.
Uno dei maggiori disegnatori del tempo, come si è ricordato, Attilio Mussino, nato a Torino nel 1878, celebrato ancora oggi come uno dei più grandi fumettisti italiani, quando esce il primo numero del Corriere dei Piccoli, il 27 dicembre 1908, è già tra i collaboratori e pubblica in quello storico numero il primo “fumetto” italiano, una tavola con la storia del piccolo nero Bilbolbul. Anche Schizzo è uno dei suoi personaggi e sarà tra quelli utilizzati per propagandare le “imprese” militari italiane, esaltando nazionalismo e colonialismo, due dei mali, comuni alle nazioni industrializzate, che porteranno allo scoppio della Prima guerra mondiale.
In un’epoca in cui non c’è il televisore, e la radio non può trovarsi, per ragioni economiche, nelle case di tutti, il mezzo che consente alle idee di circolare con maggiore facilità è la carta stampata e, tra i meno acculturati che non possono leggere lunghi testi scritti, il fumetto, conseguentemente, diventa mezzo da utilizzare per fini politici e propagandistici.
Quelle di Tofolino, Schizzo e Italino, sono tavole dipinte, a colori, che su un giornale fanno effetto: nell’Italia di inizio Novecento non si è abituati al colore, quindi le tavole del Corrierino attirano anche gli adulti, non solo i ragazzi: tutti leggono i fumetti che esaltano la guerra, che mostrano gli “eroini” del Corriere dei Piccoli impegnati in battaglie, alle prese con bombe ed esplosivi, pronti a sconfiggere il nemico, chiunque esso sia.
Su quei fogli mitici, Tofolino, Italino e Schizzo sono ologrammi e scintille, macchie di colore ipnotizzanti, ideate per coinvolgere le masse, per convincere che la guerra è bella anche se fa male, come dice la canzone del cantautore Francesco De Gregori. Questi fumetti Italiani dei primi del Novecento non sono semplici storie illustrate di guerra: essi rappresentato il volgare tentativo di convincere le masse che la guerra è l’unico mezzo, l’unica via, ma che inoltre non è poi così pericolosa, perché basta buttare una bomba ed il nemico viene annientato. In queste tavole del Corriere dei Piccoli, il nemico è spesso un mostro, un essere deforme. A chi farebbe impressione o dispiacere uccidere un mostro, magari nero e con l’osso al naso? Per chi non era mai stato in Africa, i neri dell’Etiopia e dell’Eritrea erano esattamente come venivano illustrati dai fumetti.
La realtà è ben diversa, il nemico non è carne da macello, ma essere umano di spirito e materia. Prima di accorgersi di questo, l’Europa e il Mondo industrializzato, e quindi l’Italia, hanno immaginato e messo in atto il colonialismo e due terribili guerre mondiali, l’ultima delle quali semi-atomica.
I fumetti hanno più volte reclamizzato la violenza, come nel caso del Corriere dei Piccoli di quegli anni, più o meno direttamente, a seconda dei venti.
Nel dopoguerra, terminato il periodo in cui il Corriere dei Piccoli viene utilizzato a fini propagandisitici, i fumetti “moderni”, quelli con le “nuvolette”, guadagnano terreno. Tutto diventa più leggero: le parole cominciano a volare. Grandi storie d’avventura come Prince Valiant di Harold Foster o Anna della Giungla di Hugo Pratt trasformano l’immagine del Corrierino, aprendo la strada alle ragazze moderne di Grazia Nidasio e alle gallerie di personaggi di Cimpellin e Battaglia. L’ultima stagione interessante del giornale è quella degli anni ’60-’70, in cui l’ormai storico foglio ospita grandi personaggi come Lucky Luke, Luc Orient, Spirù e Fantasio.
Il Corrierino, in questa ultima fase, cede il testimone al Corriere dei ragazzi, sul quale compaiono le vicende di Lord Shark, nome che dà anche il titolo ad una serie a fumetti con testi di Mino Milani e disegni di Giancarlo Alessandrini e successivamente di Enric Siò, comparsa sul Corriere dei ragazzi tra il 1975 e il 1976.
La serie è ambientata nell’India di metà Ottocento sotto il dominio britannico. Protagonista è un ufficiale inglese, di nobile famiglia e con uno scandalo alle spalle che lo ha costretto a prendere servizio in un posto nella frontiera settentrionale, dove ha modo di dimostrare il suo eccezionale coraggio in vari combattimenti con ribelli e predoni delle montagne.
La sua fuga in India è legata al rifiuto di condurre all’altare una ragazza che non lo ama, nonostante le famiglie avessero preconfezionato il matrimoni. Lui scappa fingendosi vigliacco, ma in realtà lo fa per consentire a lei di sposare l’uomo di cui è innamorata.
In India, il nostro protagonista viene catturato da un capo ribelle e trascorre molte settimane in condizioni di prigionia tremende, nel frattempo i suoi commilitoni vengono uccisi ad uno ad uno, ma lui ottiene la libertà perché in un’occasione precedente aveva salvato senza saperlo la vita al figlio del capo. Quando ritorna al suo accampamento viene imprigionato dal suo comandante, furente con lui perché, sfinito, non è in grado di rispondere alle sue domande.
Decide così di disertare, aiutato dal suo attendente indiano e, per una serie di circostanze fortunose, si ritrova a capo di una banda di predoni. Con il nome di Lord Shark attua una sfilza di colpi ai danni degli inglesi, limitando al massimo lo spargimento di sangue, ma mettendo in ridicolo sistematicamente i suoi compatrioti, come una specie di Robin Hood indiano.
Tra le pagine del Corriere dei ragazzi, finalmente, la guerra non è più un atto eroico, perché il vero eroismo risiede in un’etica dell’altruismo e della pace, ed il fumetto che tratta questo tema lo fa in modo critico e giammai adulatorio, perché la guerra è brutta e fa male.


domenica 6 gennaio 2019

Un ombrello pieno di pioggia


Un ombrello
pieno di pioggia

di Annamaria Barreca






Continua il viaggio poetico di Annamaria Barreca, tra le sue certezze e le sue numerose titubanze. "Nel deserto della città o nel frastuono dello spazio della memoria" la poesia è pronta a riaccendere desideri sopiti ed a confrontarsi con le lontananze più estreme. 
Perché "un giorno, un giorno con violenta eruzione tutto torna". La poetessa sa aspettare nelle zone d'ombra del padiglione più estremo, e insinua la parola nella testa del lettore. Non appare nessun limite al suo fluire: si inoltra negli abissi bui e non teme neanche la luce, perché è forte come un telescopio e lungimirante come la preghiera di un ateo. "Sono schegge" i versi di Annamaria Barreca, "coriandoli impazziti" nel vortice della pioggia che riempie ombrelli e teste, perché "l'acqua è vita e vita è morte."
Le vie del contrasto fanno presto ad insinuarsi nel cervello e la poesia scioglie il nodi del divenire, libera la donna oppressa da millenni e le ridona la dovuta dignità, perché  la donna non è un vuoto da colmare, ma un universo capace di farsi multiverso, per mezzo della poesia e dell'erranza.
Come sabbia di fiume in movimento, che erode e arricchisce, genera le idee e desta come un tintinnio di campana sorda. Lontano il verso non va, ma ci conduce il lettore: lo fa viaggiare oltre i noti confini. Annamaria Barreca trionfa in questo libro, come donna e come poetessa, perché accenna il suo dolore, lo dona, senza farlo diventare urlo, tramutandolo in carezza per l'anima.
" Armonia eravamo... Si confuse anche il tempo."
Annamaria Barreca, in questo libro, sa aspettare l'attimo, in cui si compiere la profezia del suo canto magistrale e luminoso. In questa attesa scompare il tempo e resta l'amore infinito, "roccia granitica" a cui aggrapparsi, ma senza veemenza.
"Un ombrello pieno di pioggia" è un canto d'amore, capace di risuonare a lungo nella testa del lettore. Oltre, va oltre, ben al di là della paura che blocca: è un canto che dura, una musica che investe il cuore. Il verso non poggia su strutture preconfezionate, ma vola su un pentagramma costruito tra gli spazi dell'anima: ogni parola è nota che conduce sì nell'abisso, ma che sa trarre fuori chi legge dal limbo della paura. 
C'è libertà in queste poesie: conoscono la direzione del dove sia opportuno stanziare: esse vanno al di là del pregiudizio e scardinano la miopia della modernità fasulla; lasciano il tempo di respirare, non corrono verso una meta prefissata, ma consentono di trovare il sentiero che conduce a se stessi, il quale è imprevedibile e nuovo ogni giorno.