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sabato 4 ottobre 2025

K. 488 DI SARA ZURLETTI

La Musica demonica e il coraggio di suonare 

Leonida edizioni




Dove dimora il dolore? Dove risiede il coraggio di opporsi alle prevaricazioni?

Sara Zurletti, nel suo romanzo K. 488, costruisce un itinerario narrativo attraverso il quale si interroga, anche filosoficamente, sia sul senso della Musica, nell’era della tecnica, sia sui tentativi del potere di influire sul processo artistico, un potere che vorrebbe imporre il controllo anche sull’animo dell’artista. Come può l’economismo pensare di potersi impadronire della Musica per trarne profitti?

Questi interrogativi così inquietanti e attuali e la possibilità - a causa delle interferenze del potere - di perdere i talenti, ci riportano alla mente il romanzo di Robert Schneider, Le voci del mondo, se non nella struttura narrativa, nel dissidio tra l’artista e il mondo, che possiamo riassumere con questa citazione:

 

“Quanti uomini meravigliosi, filosofi, pensatori, poeti, pittori e musicisti il mondo avrà perduto solo perché ad essi non fu concesso di imparare la propria arte? Forse — continuando nella nostra fantasia — non fu Socrate il filosofo più sublime, e non fu Gesù Cristo il più grande spirito amante, né Leonardo il più straordinario tra i pittori o Mozart il più perfetto tra i musicisti; altri nomi, completamente diversi, avrebbero potuto segnare il corso della storia.” (pag. 8)

 

Cercheremo di chiarire questo bizzarro accostamento partendo dalla protagonista del romanzo K. 488, Emma Cambria, una pianista siciliana che tenta di affermarsi, frequentando un corso di perfezionamento a Parigi. Una ragazza apparentemente come tante, alla ricerca della via per esprimere il proprio talento, il quale le concede una abilità interpretativa e penetrativa dello spirito dei compositori con i quali si confronta.

La citazione precedente esprime bene la forza di uno dei messaggi di Sara Zurletti, che sembra essere il seguente: non sempre coloro che incarnano la perfetta essenza di ciò che un artista deve essere, riescono ad emergere. Spesso, la loro arte viene mortificata dalla logica dell’utile, quella che Aristotele collocherebbe tra gli analitici primi (formalmente validi ma falsi); essa smaschera l’intento del potere di servirsi dell’arte per soggiogare le masse, dentro le quali, sovente, perdiamo i talenti.

La vera arte, ci ricorda Sara Zurletti, come fa anche Thomas Mann ne La montagna incantata, pur nascendo da una nevrosi, quando non da una psicosi, cura il mondo, sia in senso lato sia in senso stretto, ossia, può curare un animo, che a sua volta avrà il compito di elargire, come tramite, luce nuova al mondo intero. Ecco che l’arte diviene quel carro trainato da cavalle, di parmenidea memoria, capace di guidare dal luogo comune al luogo elettivo.

Nelle vicende di Emma Cambria si innesta un ideale artistico che lotta strenuamente contro la visione dell’arte finalizzata a… o strumento di interessi temporali. L’arte è fine a se stessa e ogni artista, degno di tale nome, altro non è che un suo messaggero, una sorta di Ermes, che è sia portatore del messaggio, sia interprete del messaggio stesso, nonché attualizzatore di un segno, annunciatore che, in ogni modo, non può limitarsi a essere mero riproduttore.

Ecco perché la tecnica non è sufficiente (quella perfezione meccanica che nel romanzo di Sara Zurletti è attribuita a un pianoforte, capace di riprodurre lo stile e la dialettica musicale di un autore, facendogli suonare, a distanza di tempo dalla sua morte, un brano che è a lui postumo e che non avrebbe mai potuto interpretare); la tecnica, si diceva, non può esprimere da sola la forza del contingente e dell’imprevedibile, che alberga in ogni essere umano; l’arte è altra cosa, perché pur essendo tecnica, ha nella sua radice sanscrita ar il significato di andare verso, nel senso di portare fuori ciò che ha visto nell’abisso, pertanto essa non può essere affidata a un novello Frankenstein, ultimo prometeo, intelligenza artificiale, mostro postmoderno, capace di superare o eliminare ogni imperfezione, (un po’ come tentano di fare gli editor con i romanzi), giacché la grandiosità di una interpretazione pianistica o di un romanzo risiede nella sua insufficienza, che la rende unica e irripetibile e allo stesso tempo frammento del percorso diretto al vero, al bello; un tentativo, come direbbe Hermann Hesse, non una perfezione meccanica.

L’uomo post moderno, che invece cerca la compiutezza tecnica, diviene freddo metallo senza aderenza alla storia.

Emma è una ragazza di provincia, non contaminata dall’arrivismo, ma non per questo priva di ambizioni; ella porta un nome che in lingua germanica significa “potente e valorosa”, ma che ha anche altri significati, tra questi “totale”. Emma è una donna integra che non scende a compromessi, la sua forza delicata richiama alla mente due personaggi indimenticabili del mondo letterario: Emma Woodhouse ed Emma Bovary. Come non pensare a loro quando la ragazza di Sara Zurletti lotta strenuamente contro se stessa per trovare l’uscita dalla sua angoscia?

C’è anche da dire che ogni artista combatte contro se stesso e senza questa battaglia nessun’arte potrebbe produrre bellezza; sempre e solo se per arte intendiamo l’abilità tecnica che nasce dall’esercizio e dal lavoro duro, necessari per mutare le forze arcane che ci abitano in segni e le cicatrici che la vita imprime nell’anima di ognuno in musica.

Sara Zurletti pare sostenere che l’artista si debba lasciar travolgere da queste dinamiche demoniche, non demoniache, come la stessa Emma sottolinea con forza, senza abdicare ma con sacrificio, perché anche quando sembra che la violenza possa vincere - giacché nel mondo è tornata la clava e la sordità, come uniche forme espressive dell’uomo a noi contemporaneo, oramai privo della vibrante passione - l’impeto si risveglia e gli zombi vengono travolti dalla melodia, dai suoni del mondo. Emma tocca una nota capace di  riaccordare l’universo, un La arcano e ancestrale.

Sara Zurletti con questo romanzo, ben scritto, colto ed euritmico, ci dice che l’uomo, con tutta la sua razionalità, spesso viene sorpreso dalle vie impreviste che può prendere l’arte nel tentativo, quasi sempre riuscito, di cambiare il mondo.


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