Lo sguardo dei padri
di Ida Nucera
Il padre,
per sua natura, è destinato a occupare una posizione “periferica”, giacché
incarna il ruolo di garante della sicurezza, di difensore.
Il
protettore pone al centro il protetto e, sovente, quest’ultimo non riesce più a
vederlo, a mano a mano che lo spazio nel quale vive si dilata; questo accade quando,
naturalmente, l’ego di ogni figlio comincia a lievitare, e induce a considerare
il protettore come un limite da abbattere, per poter ulteriormente estendere
quello spazio che da figli reputiamo infinito.
Quando l’ego
raggiunge la sua massima estensione possibile, quando, come dice Hegel nella
sezione dello Spirito oggettivo della Fenomenologia, incontra l’ego
degli altri che lo limitano, c’è un conseguente riposizionamento. A questo
punto il padre, se si è fortunati di averlo ancora, diventa visibile e le sue
braccia, forti e grandi come il colonnato del Bernini, accolgono senza più
stritolare.
Quando si conclude
il “tempo” del padre, comincia quello del figlio e in esso si vivrà, sovente,
ancora, sotto lo sguardo del padre, che adesso non giudica ma contempla.
Una serie
di dialoghi - dolorosi, intimi come una confessione, musicali e interrotti,
come i sentieri di Heidegger - nei quali Ida Nucera incontra quell’ego ridimensionato
del figlio, oramai definitivamente uscito dallo spazio protetto del padre.
Un figlio che si ritrova preda di un horror vacui avvilente, soprattutto
quel figlio che padre non lo è mai diventato, e che ha costruito invano il
proprio personale colonnato protettivo. In quella piazza c’è un vuoto che per
tutta la vita cercherà di riempire: ci metterà dentro i figli degli
altri o i discepoli, gli animali domestici o le passioni, ma senza esito e, fin
quando non avrà imparato ad accettarlo, soffrirà indicibilmente.
Ida Nucera
ha avviato un percorso conoscitivo molto delicato: ha interrogato il senso del
limite e la volontà di potenza; ha investigato l’arroganza e la compassione; ha
accarezzato il leone inferocito e lo ha fatto dialogare con il proprio dolore; fino
a rivelare al lettore che il raggiungimento della libertà si ha quando non si
sente più la necessità di dire la parola padre, quel lemma che contiene la
radice pan di pascere, nutrire, proteggere. Significato che emerge totalmente in
alcuni dialetti, nei quali il nome padre viene contratto addirittura in Pa, andando alla radice del suo significato.
Ida Nucera porta avanti l’analisi del paterno, smaschera la sicurezza e amplia la pietà; induce i suoi ospiti, tra i quali il lettore, a cercare in sé la radice di questo nutrimento che redime e porta a una sorta di catarsi, figlia della sincerità. Leggendo queste pagine, emerge la consapevolezza che ogni rapporto padre figlio ha un che di irrisolto, di troncato. Se così non fosse non ci sarebbe un domani da scrivere, perché da quella faglia, da quella spaccatura, si origina l’avvenire.
Come scrive l’autrice: “Qualunque sia la separazione intercorsa. Una luce che
nessuna morte può toglierci, perché brilla da sempre e per sempre. Non ha
inizio né fine, attende, dentro di noi, solo d’essere riconosciuta e raggiuta”