Sin
da
ragazzo, amo
“Guerre Stellari”, la dicotomia tra Forza e Lato oscuro, allora
mi affascinava, oggi
mi interroga.
Fino
a qualche tempo fa, pensavo dipendesse semplicemente dalle mie
passioni per scienza e
fantascienza,
per il futuro e le “cose ultime”, le quali mi hanno spinto a
respingere le certezze preconfezionate, per inoltrarmi sulla via del
possibile, del tentativo. Tale predilezione, mi dicevo, forse è nata
dall’incontro con gli eroi di Omero, l’unica traccia positiva
rimasta, oltre alla matematica e alle scienze, di tre anni di scuola
media da incubo; forse è figlia dei cunti
con protagonisti Fioravanti e Rizieri, i Paladini di Francia e
Genoveffa di Brabante, che mio nonno mi raccontava. Oggi posso
affermare che quelle che consideravo cause erano invece prodotti
della stessa matrice. La
passione per la
saga di Guerre Stellari - e non mi riferisco solo ai film, ma anche ai
libri e ai fumetti che riuscivo a trovare con
grande fatica in un’infanzia senza internet,
i quali mi hanno suggerito anche Isac Asimov e altri percorsi di
“resistenza” - lo scontro tra Forza e Lato oscuro, sono figli di
un
moto
interiore,
recondito, di cui prendo coscienza solo oggi, giacché mi sento
costretto in un sistema sociale privo di dialogo e figliastro
della barbarie, che, periodicamente, ritorna e, come erbaccia,
invade i campi di lavanda e ne ottunde il profumo.
Irretito in una
società, sempre
più spesso,
oppressa dalla mancanza totale di metodo o di qualsivoglia struttura
benigna, sento il peso di vivere tra gente sballottata tra
la paura
e la rassegnazione: i pellegrini d’oriente, come
insegna Hermann Hesse,
hanno abbandonato il sogno e con esso se stessi. Don Quijote de la
Mancha si è arreso. Forse, diventa sempre più realistica la
profezia di Saramago: “il Governo aveva [...] optato per la
liquefazione fisica in massa, ci fu chi s’infilò sotto i letti,
alcuni, per la paura, non si mossero, certuni forse avevano pensato
che era meglio così, se la salute è poca tanto vale non averne, e
se c’è da morire, meglio farlo alla svelta.” (Cecità
pag.
79).
Questo
è l’atteggiamento di chi ha smesso di crederci, non in un
dio,
questo genere di fede è morta da anni, ma in se stessi. In Calabria,
terra di orpelli e foreste; luogo di nuance e meretrici;
meta di falchi e parole inutili; giardino di limoni e acquiescenza;
patria dei senza parola e dei senza orecchie, in Calabria si generano
i canti della rassegnazione e nella notte non vola nessuna nottola,
ma solo sciami di locuste,
che devastano
i campi di liquirizia e
grano.
Qui
domina il lato oscuro, i Jedi sono in via d’estinzione, nessuno
sembra ricordare che con
la forza della mente si può cavare un caccia stellare dalla melma
della palude nella quale si è infilato, in
pochi comprendono quanto sia importante la letteratura, la musica, il
folle amore per la poesia e la ricerca, la logica della matematica e
la passione per l’astronomia, perché Jabba
de Hutt domina la scena. Ai suoi piedi si aggirano bestie ripugnanti
e primati famelici.
La
saga di George Lucas parla della mia Calabria, di ’ndrangheta,
parla di forze che lottano quotidianamente l’una contro l'altra:
forze disfattiste,
animate dalla volontà di potenza e da falsi valori, i
quali
intrappolano l'uomo cieco e
malato, incapace
di un pensiero costruttivo, il
cui DNA
è
intriso di brago, ma ci sono anche forze che resistono e sentono l’arcano e il
vero, che viene da lontano, dalla parola viva e segnante. I
non Jedi
scappano
da questa terra e
lasciano spazio a
giovani sopraffatti
dal lato oscuro, figli
di mafiosi e loro accoliti, ’ndranghetisti solo per posa, i
quali pretendono
di dominarti con uno sguardo, sputandoti in faccia il fumo delle
sigarette, che
quotidianamente insozzano il loro cervello e lacerano il loro cuore.
Costoro frequentano, senza saper leggere e scrivere, senza aver mai
fatto incontrare al loro cuore asfissiato
una sola parola poetica o una sola nota di sole, le università
più
prestigiose, quelle a cui solo i danarosi possono accedere. I
potenziali Jedi
scappano,
scappano perché qui non è
rimasto più nulla, se
non
il deserto. La
desertificazione è
figlia
della ’ndrangheta.
Questo
non
è un luogo comune, perché è il mafioso che ha distrutto questa
terra... ma
noi? in
che modo ci opponiamo?
Dov’è la spada laser?
La
luce è spenta e non la può riaccendere la falsa letteratura che
parla di ’ndrangheta e si arricchisce con l’antimafia. La mafia
è delinquenza, non fenomeno di costume; essa è il lato oscuro che
la Letteratura
può sconfiggere, solo se ritorna ad essere Letteratura
e non cronaca. Occorre una operazione psicanalitica, occorre
raccontare sogni, associare le idee, leggere i lapsus e scardinare la
noia, occorre attraversare
il fantasma, senza metterlo sul piedistallo, rendendolo
innocuo, malfermo. Occorre stancare il fantasma, col sorriso,
sottraendogli
la forza.