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domenica 25 agosto 2024

L'inutile dialogo sui massimi sistemi


Il Laboratorio Delle Ombre

La fatica di Sisifo




Qualche anno fa, spinti dal desiderio di diffondere idee di rottura, con un mondo mediatico sempre più invadente e omologante, con l'amica e mentore Daniela Pellicanò, si era dato vita a una sorta di laboratorio casalingo, un percorso fatto di dialoghi serrati, a volte culminanti in diatribe senza soluzione; visioni di film; ascolti di musica d'avanguardia; lettura ad alta voce di brani di letteratura varia; esercizi teatrali o cene sperimentali.

In questo tentativo (una vera e propria ricerca spasmodica), spesso strampalato e senza un metodo ben preciso, erano comprese lunghe passeggiate, sortite per presentazioni di libri in luoghi anche improbabili e con gruppi eterogenei di varia umanità.
Ciò che spronava era il desiderio immodesto e folle di cambiare le cose e scuotere un poco le coscienze di coloro che si erano assuefatti a un costume, ritenuto immutabile.

Laboratorî con Carlo Sini su Pitagora; interviste a pittori come Luigi Esposito; a scrittori come Rocco Carbone o poetesse come Iolanda Catalano; traduzioni di libri come quelli di psicanalisi della studiosa Eva Gerace, fondatrice del Circolo psicanalitico dei Caraibi, approdata dall'Argentina a Reggio Calabria per togliere i figli dal letto dei genitori; lunghe e a volte violente discussione sull'appartenenza alla borghesia; viaggi a Palermo e dintorni, per intervistare persone pericolose e tentare di fare chiarezza su delitti irrisolti;  viaggi a Roma, inutili viaggi, per parlare di resistenza e resa, in una capitale sbiadita, che al massimo poteva essere un centro di raccolta per relitti alla deriva; collaborazioni fruttuose in seno alla casa editrice Città del Sole; esperimenti nella redazione di qualche quotidiano locale, con l'intento, sempre fallito, di smuovere qualche coscienza sopita o riesumare un'idea sopravvissuta alla inutile ricerca del ruolo sociale.

Ecco, in questa folle e disordinata ricerca  qualcuno si è smarrito, qualcun altro ha continuato la lotta senza curarsi dei pericoli. La notte è sopraggiunta e ha soffocato una delle più belle voci recitanti che si siano udite a queste latitudini. Sul Trentottesimo parallelo abbiamo trascorso serate a guardare le stelle e a protestare contro il potere degli ignoranti per colpa; abbiamo estromesso ogni ipocrisia e pianto lacrime di gioia e riso di dolore, ubriachi in una nuvola di fumo e tristezza.

Erano tempi in cui la notte non scendeva mai invano; erano tempi nei quali la certezza aveva ceduto il posto alla necessità di una boccata d'aria pulita, anche se precaria.

Per questo si scriveva e si leggeva, si rincorrevano falsi agnelli, per sgozzarli con le parole dei poeti, e si accoglievano lupi puri come colombe, attratti dal suono della musica di Chopin.
Tutto senza fare rumore, senza pensare che il futuro era un ingenuo pensiero di due bambini ancora intenti a saltare con la corda.
Siamo andati veloci, perché sapevamo che il tempo era poco, che la luce si stava per spegnere e che il sipario si sarebbe chiuso su una scena vuota. Abbiamo visto, esausti, "Aspettando Godot" e abbiamo compreso che era lei, la signora dell'oblio, quella che Estragone e Vladimiro stavano aspettando.
Prendemmo coscienza che le nostre lauree in Filosofia non erano sufficienti a colmare la vastità della nostra ignoranza e che c'era "La terra desolata" di Eliot da attraversare senza paura:


Il fiume non trascina bottiglie vuote, carte da sandwich,
fazzoletti di seta, scatole di cartone, cicche di sigarette
o altre tracce di notti estive. Le ninfe sono partite.

Sì, Daniela era una ninfa, è partita e ha lasciato tutto senza nessun rimpianto o certezza. Questo dialogo me lo regalò dicendomi di farlo leggere i miei alunni; lei era filosofa...

Il lungo è l'ombra del corto e la cameriera è la distrazione che porta alla follia e alla frustrazione; l'arena è un luogo dove le belve ti consumano e si nutrono del tuo respiro; le macchine sono i mostri voraci che annientano il nostro tempo rendendoci schiavi e prigionieri del perbenismo e del dolore.
Questo dialogo è un frammento di anima, la sua, che lascia qui per noi. Se ne va un tantino incompleta, come la madre che un poco muore generando un figlio. Daniela è certamente lontana adesso, perché sapeva che non si guarda indietro quando si parte e nessuno deve essere preso per mano e accompagnato, perché è inutile per i pusillanimi, giacché non ci arriveranno lo stesso; è inutile per i coraggiosi, poiché  essi cercheranno sempre e comunque una strada personale, la loro...




L'INUTILE DIALOGO SUI MASSIMI SISTEMI

DANIELA PELLICANÒ

Interno di un bar, pochi tavoli, musica classica in sottofondo. Profumo di caffè. Una o due copie di giornale su ogni tavolino, quadri alle pareti. Luci soffuse e calde. Si potrebbe definire un luogo confortevole, che concilia discorsi esistenziali o sui massimi sistemi. Due amici (?), o meglio due che si conoscono perché si incontrano sempre lì, soliti frequentatori, scambiano opinioni. Lo scambio è iniziato da due mesi, siamo all'epilogo.

Il Lungo: "Cominciò a leggere l'ennesimo libro"..., che ne dici, potrei cominciare così il nuovo racconto?

Il Corto: Mmm... non so, mi sembra banale...

Il lungo: Banale! Te lo dico io cosa è banale. È banale la tua faccia con tutto il suo contenuto! Ma non puoi stare lì a guardarmi senza mai... insomma, dici almeno qualcosa di interessante!

Il corto: E però basta! Non si può continuare così! Te la prendi sempre, allora non mi chiedere! Perché...

La cameriera, brusca: cosa vi porto?

Il corto: Due caffè, grazie, macchiati caldi, va bene?
Il lungo: Ma sì, cosa vuoi che mi importi? Ma una volta come facevano secondo te? È che oggi tra i libri e la tv... tutte esistenze..., non so, ho l'impressione che tutto sia stato visto, letto, detto... ma... cosa c'è di nuovo? insomma, noi, come viviamo? Perché alla fine, capisci, si fa un gran parlare di realtà virtuale, e la televisione, e il cinema, internet, le chat... Ma fermiamoci un attimo. La maggioranza di noi vive sulla soglia della povertà, ci accontentiamo, giorno dopo giorno. L'amore, il lavoro, l'amicizia... tutto è precario, siamo flessibili, ecco, flessibili, in tutto! Però ci accontentiamo! Te lo ricordi il film di Wenders? Il cielo sopra Berlino, te lo ricordi?

La cameriera, sbrigativa: Ecco i caffè!

Il lungo: Grazie. Ti ricordi? All'inizio del film, l'angelo che scende tra gli uomini, legge i loro pensieri. Te lo ricordi? A un certo punto dice... "La consolazione è il sole che illumina gli occhi degli uomini". Sì, dice così, dopo aver sentito migliaia di pensieri, tutti uguali: forse domani..., però se io...., dopo magari... può darsi che... e così via. E siamo ridotti cosi.

Il corto: Ridotti come? Siamo nel XXI secolo, punto.

Il lungo: Cioè vuoi dire che tutto è normale? È cosi che dev'essere? Siamo arrivati nel XXI secolo per...

Si sente un clacson suonare con insistenza, la cameriera si avvicina: è vostra la macchina...

Il lungo, alzandosi di scatto: ma le sembriamo tipi da macchina noi? No, dico, ci guardi bene! (al corto) Alzati! Fatti guardare, mi dica (allarga le braccia quasi volesse farsi studiare nei minimi particolari, fa un giro su se stesso)

La cameriera: Ma è impazzito? Ho solo chiesto se...

Il lungo: E insiste!

Il corto: Lasci stare signorina, è un po' nervoso, sa... è uno scrittore (fa spallucce per giustificarsi)

La cameriera: E chi se ne frega!? È un nevrotico, altroché! (si allontana borbottando)

Il Corto: Certo che hai proprio esagerato!

Il Il lungo: No, guarda, chiedetemi qualunque cosa ma non mi parlate di macchine!

Il corto, con sorriso divertito e stupito: E perché?

Il lungo: vogliamo parlarne? E parliamone! (si accomoda meglio sulla sedia come se il discorso si facesse serio e molto lungo, segue circa mezzo minuto di silenzio, come se aspettasse il momento favorevole per iniziare, e poi all'improvviso e con tono esageratamente alto)
IL REALE È QUELLO CHE VEDIAMO E L'IRREALE È QUELLO CHE VIVIAMO.

Il corto scoppia a ridere: Scusami ma... (sempre ridendo) casomai è il contrario, quello che vedo ora sei tu e... altro che reale, mi sembri un fumetto! Ma dai! (gli dà una pacca sulla spalla)

Il lungo: Ma allora non vuoi capire! Ti dice niente Platone? il mondo delle idee? Ok, ora ti spiego. Lui diceva che quello era il mondo reale e...

La cameriera si avvicina al tavolo, ha un sorriso beffardo: vi porto qualcos'altro?

Il lungo: ma questa lo fa apposta! E la smetta di interromperci... che diamine!

Il corto: stai proprio male, lo scusi, tanto ormai... mi porta un altro caffè per favore?

La cameriera sorride soddisfatta

Il lungo è allibito: Che significa tanto ormai...

Il corto: Niente è che non so più come tenerti, ma non ti rendi conto che sei isterico? Salti per ogni cosa, e dai!!! Allora che diceva 'sto Platone?

Il lungo: Dunque per Platone esisteva il mondo delle idee da una parte e il mondo sensibile dall'altra. L'idea non è una copia della cosa ma la vera realtà. Le cose sensibili, al contrario, quelle che noi consideriamo reali, sono le copie imperfette delle idee. È chiaro?

Il corto: Insomma... chiaro... più o meno. È che a voi intellettuali piace complicare... e poi siete noiosi! Guarda mi fai venire in mente il dibattito alla fine del film, eh, i circoli del cinema? Che incubo! tutto tempo sprecato! Comunque dai, continua, però non metterci troppo, ho da fare una cosa importante e...

Il lungo: Sì, sì, ti spiego. Ti faccio un esempio: quando dico "il cane è il migliore amico dell'uomo", il cane è l'idea, è la realtà universale, niente a che vedere con tutti i cani particolari che esistono nel mondo sensibile, razze diverse, nomi diversi... hai capito? Il cane non un cane. È chiaro? Quindi la realtà è nel mondo delle idee!

Il corto: Sì, ma dove vuoi arrivare?

Il lungo: Agli spot...

Il corto: Che?!?

Il lungo: Il nostro mondo delle idee è la pubblicità. È lì che vediamo i nostri modelli ideali, di famiglia, di città, di vita! Quello che viviamo invece è solo una pallida, brutta e squallida copia di uno spot. Ecco! Hai capito?

Il corto: No guarda, questo è troppo! E io che sto qua a sentirti!!! Adesso basta (sbuffa) e no! con questo sei davvero finito, non...

Il lungo: anche le parole! Pensa al linguaggio degli sms e...

Il corto: Cameriera! (alza il tono della voce e il braccio contemporaneamente e poi si guarda intorno sorridendo)

Il lungo: E i personaggi? (alza il tono anche lui, capisce che l'attenzione sta scemando) Queste famigliole a modo, questo amore che sprizza da tutti i pori... poi apri i giornali e scopri l'orrore! tutti ammazzano tutti, genitori, figli, suoceri, zii, passanti...

Il corto (con tono comprensivo ma al tempo stesso deciso): Sdesso basta. Hai bisogno di riposo. Cameriera!

La cameriera confabula con un altro cliente, sorridono

Il lungo: Vedi? Lo sai perché reagisci così? Perché quello che manca a te e a tutti ormai, è il senso critico, capisci? La gente è assuefatta a tutto, non riesce più a distinguere gli opposti e quindi...

Si avvicina la cameriera e il corto le fa un cenno di intesa, lei sorride soddisfatta e allontanandosi tira fuori il taccuino delle ordinazioni. Nell'ultima pagina c'è una lista di nomi, tutti depennati tranne uno. Si avvicina al bancone e con la matita accanto al nome fa un asterisco.

Il corto: Sai che ti dico? Con queste parole hai firmato la tua condanna! Finalmente! Adesso sì che siete tutti sconfitti, gli in-te-lle-ttu-a-li... non hai capito niente! Fino ad oggi non c'è stato altro che travaglio, utopie, ideologie, ideali! e quindi problemi, insoddisfazioni, ingiustizie... e basta! Sono passati i secoli e 'sto macigno non faceva che ingrandirsi a dismisura e... guarda il XXI secolo come ti risolve tutto? (allarga le braccia sorridendo soddisfatto) Svuotando le teste. È chiaro: testa vuota uguale vita facile!

La cameriera: Offre la casa (distribuisce da bere ai vari tavoli quasi danzando).

Il corto: (gettando uno sguardo di disapprovazione sulla ragazza, riprende con tono autoritario) Il metodo è semplice e infallibile: per raggiungere lo scopo occorre ignoranza diffusa, ge-ne-ra-li-zza-ta, quindi si parte dalla scuola, te la svuoto di contenuti e di senso, risultato? Una bella massa di ignoranti che siccome non sa, non soffre, non persegue, non anela..., si continua con l'intrattenimento: una massa senza idee si accontenta e allora via una valanga di superfluo, l'inutile trionfa, si trasforma in necessario, le case diventano grandi magazzini, piene di oggetti ipertecnologici e inutili, non si scrive, non si parla, non si cucina, non si pulisce, (alzando il tono come se concludesse il discorso scandisce) NON SI PENSA! la massa deve solo ammazzare il tempo, così... e allora via, senza perdere tempo, bombardati con tutti i mezzi a qualunque ora. È una valanga, non la freni più, tutti sempre più giovani, tutti sempre più belli, tutti a parlare sempre meno, i concetti devono essere brevi, perché non c'è bisogno di capire, ricordi? Teste vuote. Bene, a fanculo i tuoi libri, le tue idee, i tuoi sogni! sei ancora qua? Ma non ti vergogni? L'ultimo della specie, che schifo! i tuoi simili si sono già suicidati, ti puoi accomodare... sei stato il più tosto ma come vedi....

Si appoggia allo schienale della sedia e aprendo le braccia lo invita a guardarsi intorno.

Cambia completamente l'atmosfera, il lungo si alza lentamente dalla sedia, è spaurito: tutti gli sguardi sono su di lui, sono disgustati, come se fosse un appestato.
Si interrompe la musica, una voce tetra ammonisce "è l'ultimo! Li abbiamo stanati tutti. Con questo ci abbiamo messo più del previsto, ma... adesso.... comincia lo spettacolo!!!!” La cameriera dà l'avvio agli applausi entusiasti, si allestisce l'arena, entra il boia. Mancano le telecamere, non è uno spot.

giovedì 25 luglio 2024

L'immagine indirizza il cuore

 Da Nord a Sud

La degenerazione dell'infanzia





La copertina del mio libro di lettura della scuola elementare (terza, quarta e quinta), dal titolo Nord Sud, edito dalla Garzanti, era illustrata con un dipinto/murales dal titolo Les costructeurs di Auguste Léger, il pittore francese al quale è stato dedicato un museo emozionante in Costa Azzurra, a Biot, nel medesimo sito acquistato dal poliedrico artista per collocare le sue sculture.

La sua opera più nota, I costruttori, nell'ultima versione degli anni Cinquanta, ha accompagnato, essendo, come si è  detto, la copertina del mio libro di lettura, tutte le mie fantasie di lettore bambino, fino all'identificazione con quei lavoratori acrobati, eroi delle altezze, in equilibrio su ponteggi altissimi per costruire grattacieli svettanti. Osservando l'immagine, inoltre, mi sentivo orgoglioso del lavoro di mio padre, il quale sui ponteggi ci "passeggiava" realmente; da qui, per certo, la mia predilezione per il Futurismo, il Cubismo e il Surrealismo; da qui anche la mia predisposizione d'animo a un modernismo realista e immaginifico.

Mi sono sempre chiesto perché l'ideatore di quel libro avesse pensato a un'opera così innovativa per l'epoca, eravamo negli anni Settanta, tale da rompere completamente con la tradizione dei libri di testo per la scuola primaria usati fino ad allora.
Sfogliando quei tre volumi, che per fortuna ancora conservo, ho trovato una considerazione elevata del mondo dei bambini: si era convinti, almeno lo era colui che aveva concepito quel progetto editoriale, che i bambini potessero essere educati attraverso l'arte, anche l'arte  contemporanea, con la bellezza delle forme, dei colori e anche attraverso pagine di letteratura: in quei volumi figurano passi di Calvino, di Borges, di Primo Levi, di Antoine de Saint-Exupéry, di Prévert, di Rimbaud, di Twain e molti altri; testi teatrali e un'attenzione per la lingua regionale e le avanguardie.
I bambini, a quel tempo, non erano considerati idioti da imboccare con disegnini e testi semplificati, ma soggetti partecipi, capaci di sensazioni, di comprensione dell'arte più alta e profonda.

Tuttavia, per visualizzare con chiarezza tutto questo, che era dentro di me, son dovuto arrivare fino al Museo Léger, a Biot in Costa Azzurra.
Davanti a quel "lavoro" mi sono scese le lacrime, perché ho compreso la straordinaria traccia che quelle letture imposte e quelle immagini, assorbite a furia di tenere in mano il libro, hanno lasciato nel mio immaginario. 

Ho ripensato con una certa vertigine a quale sia la responsabilità del docente... ed ho ringraziato in cuor mio la maestra che scelse quel libro...
La scuola era concepita partendo dalla convinzione che l'arte può e deve educare senza intermediarî. I dipinti e le poesie non ci venivano spiegati, ci si limitava a leggere Calvino o Borghes e a guardare Léger o Raffaello... senza imporre analisi del testo o parafrasi, semplicemente si lasciava che l'arte agisse sul nostro grezzo intelletto, come l'acqua che scava la roccia... e quella roccia è  stata modellata... e come! 







mercoledì 10 luglio 2024

Sinceramente scusa


 Le guance rosse

Un romanzo di Carlo Scalfaro




Ci sono storie che non saranno mai raccontate, i cui protagonisti sono morti portandosi nell'infinito vicende incomprensibili, sofferenze e violenze senza riparo.

Tra le "amate" mura domestiche la barbarie si confonde con la routine e la brutalità con la tenerezza; egoismo e mostruosità sono normalità.

Ci sono storie che preferiamo dimenticare, perché ci ricordano che l'uomo è ferino per natura, ma, nonostante ciò,  qualcuno, per fortuna, ce le racconta e ci rammenta che a pagare le conseguenze più amare è la donna, soprattutto a latitudini estreme, dove, quasi mai, la parola può aprire narrazioni o svelare paure.

A queste latitudini afose e soffocanti, la donna, da millenni, è usata come un cencio. Tuttavia, la caparbia forza della vita che abita questa creatura "superiore" non muore, anche se un uomo/bestia cerca col suo fiato pesante e blasfemo di annientarla.

Le donne di questo amaro romanzo di Carlo Scalfaro, grazie alla parola silenziosa ma mai assente, grazie al furore del cuore, lottano per affermare la loro attitudine, il loro essere, la loro essenza, perché sono la base della vita, che fronteggia con coraggio una società arcaica e brutale. Sono Vita, ma non perché il loro ventre ospita altra vita, ma perché il loro sguardo non si abbassa davanti al desiderio di morte che abita il cuore scompensato dell'uomo mannaro.

Un romanzo breve, questo, che le ragazze dovrebbero avere come breviario... i ragazzi? lo leggano pure, e imparino che la donna non è una vagina, ma un universo di armonia, nel quale si può accedere solo danzando, con movenze leggere, che rispettino lo spazio di colei che da sola può dischiudere i confini del dolore, su radure di bellezza e gioia.

Questo libro non è il tentativo di mitizzare il femminile, come certa letteratura maschilista fa da tempo, piuttosto vuole rendere un doveroso omaggio a quella parte di umanità che da sempre viene offesa e oltraggiata senza misura.

martedì 9 luglio 2024

Che cos'è andato perduto?

 

Una perduta giovinezza

poesie di Annamaria Barreca







In queste pagine Annamaria Barreca compie un'operazione coraggiosa: assomiglia a quelle imprese che abbiamo imparato ad amare leggendo le canzoni di gesta. 
Un viaggio denso di avventura e disavventura, lo stesso che tocca ogni essere umano, m che in pochi sanno abbracciare con tanta determinazione.
 
La giovinezza di cui parla la poetessa è perduta? No, niente si perde di ciò che ancora ci abita: Annamaria è abitata dal vigore, dal coraggio, dalla determinazione della parola, il suono che ha liberato l'uomo e nello stesso tempo lo ha reso schiavo per l'eternità. 
Libero di esprimere il proprio io, ma schiavo dello specchio che la parola genera e pone davanti a noi, impedendoci di dimenticare ciò che siamo stati e continuiamo ad essere.

Prosaica la prima parte del libro tanto da ricordare la poesia giapponese di Fujii Sadakazu, il quale ci ricorda che: "In Giappone non esiste una scienza poetica, e neppure un linguaggio poetico, dicono. Se non c'è una scienza poetica, nessun linguaggio è possibile per la poesia. Cosa avevamo un tempo, cosa è andato perduto? Dove può rinascere, ciò che è stato perduto-?". 

Questa stessa domanda è la chiave di lettura di queste pagine; la giovinezza perduta, dove può rinascere? E per giovinezza qua si intende la poesia, la parola poetica. Leggendo questo libro, scopriamo che la giovinezza (parola, poesia) di Annamaria non è perduta, bensì custodita ed eternizzata.

Un nuovo cammino in ogni verso: "Esisteremo/ e befferemo il tempo/ sino a che resterà/ un'ultima parola/ scritta su un libro/ segnato dal tempo". 
Quindi la giovinezza non è perduta perché l'elisir è la parola, il suono e l'armonia che distinguono il poeta dal mendicante.

venerdì 22 dicembre 2023

Cantando il dolore

Il mio grande NO

poesie politiche
di Annamaria Barreca
 




Un grande No, è anche un grande Sì, il quale si oppone a tutto ciò contro cui si oppone il proprio No.

La poesia è quello spazio dentro il quale la libertà non può mai venire soppressa: ce lo ricordano i poeti vessati dai regimi, i quali sovente hanno continuato a scrivere anche usando (fuor di metafora) il proprio sangue come inchiostro.

Annamaria Barreca non riesce proprio a digerire la contraddizione del mondo che la circonda; non ammette la noncuranza e, per questo, continua a costruire  con la scrittura la sua città ideale. Si chiede anche, e ci chiede, se la poesia, la sua poesia, possa essere un conforto, uno scudo contro il dolore e anche un terreno fertile nel quale seminare il domani. 

Nell'epigrafe a questo doloroso libretto, la poetessa carica sulle sue spalle le ombre e la morte, per ridare luce e vita a chi è desideroso di ascoltare ancora la canzone dell'amore eterno.

Un canto che non ha tregua, che travalica i muri di indifferenza, eretti dalla paura. La pioggia della Barreca è lontana dalla feconda acqua del D'annunzio, ma, seppur acida e cada su un paesaggio post-atomico, cerca di ridare fiato a una terra arida e deserta.

Al dolore, alla rabbia, alla violenza, al sopruso, al magma del consumismo, che tutto fagocita, Annamaria Barreca dice NO, lo urla nelle orecchie di tutti coloro che si girano dall'altra parte, a tutti coloro che dormono pensando di essere svegli; a tutti coloro i quali sono morti da tempo e credono di essere vivi, solo perché respirano.

Un libro da leggere e rileggere, per non dimenticare di avere una responsabilità... un dovere... un desiderio da alimentare. 

Per amore, solo per amore

Maravigghia

Cunti di Cibi e Luoghi
di Maria Grazia Sfameni





Ci sono libri che non sono facilmente classificabili, perché sono il frutto di una commistione di generi. Uno di questi è senz'altro Maravigghia. Cunti di cibi e luoghi, della scrittrice siciliana Maria Grazia Sfameni. Un piccolo libro nel quale lo spazio della narrazione è un tempo non ancora passato e nel quale il tempo è  spazio ancora da riempire. Il legame che si crea tra il cibo e il racconto della sua preparazione, genera un ponte, attraversato il quale si entra in un'altra dimensione. In questa nuova "casa" ci si trova subito a proprio agio, perché l'accoglienza è intima e festosa.

Il canto della gioia, la generosità del companatico, il gioco di sguardi e le carezze delle tovaglie di lino o dei tovaglioli ricamati, appena poggiati sulle labbra, generano commozione. Impossibile non sorridere, leggendo queste pagine; impossibile non sentirsi il viso rigato da una lacrima...

Nonostante questo, non siamo innanzi a un libro nostalgico, piuttosto un manuale di cucina che cura; no, non un ricettario (anche se qualche ricetta si trova) ma un libro zen, in grado di distendere il viso e l'anima, come quando si entra nella casa di Auguste Escoffier a Villeneuve-Loubet nel dipartimenti delle Alpi Marittime in Francia. Sono  luoghi nei quali la passione è distribuita come zucchero a velo sulla pastiera. 

Che dire, occorre entrare in questo libro e ascoltare quello che l'autrice, alla maniera di una cuntatrice esperta, partecipa al lettore. E così, senza accorgersene, si viene ammessi nel regno dei profumi, nel tempio del gusto. Si resta prigionieri e non se ne esce, senza essere posseduti dal desiderio di assaggiare le pietanze che solo una donna innamorata è in grado di creare, non solo per coloro che ama, ma, grazie a questo amore, per tutti quelli che avranno la fortuna di sedere al loro desco.

Un libro da leggere, da condividere, da donare, con amore, soprattutto a chi è ancora in cerca di una casa...




sabato 19 ottobre 2019

Il primo Fumetto italiano

“La guerra è bella anche se fa male”






Durante i primi anni del Novecento nasce in Italia un periodico destinato a diventare mitico: Il Corriere dei Piccoli, un giornale che ha fatto da apripista al fumetto italiano e che esordisce esattamente il 27 dicembre del 1908 come supplemento illustrato del Corriere della Sera. Esso vive per quasi novant'anni (l’ultimo numero porta la data del 30 gennaio 1996), cogliendo le trasformazioni del secolo e traducendole per il suo giovane e affezionatissimo pubblico.
Il Corriere dei Piccoli ha ospitato narratori e poeti di primo piano, come Gozzano, Buzzati e Milani, ma anche Anatole France e Kipling. Fra i suoi grandi meriti c’è quello di aver introdotto in Italia i Comics americani, già presenti dal primo numero (Buster Brown di Felton Outcault, Bibì e Bibò di Rudolph Dirks e Happy Hooligan, nella traduzione italiana noto come Fortunello, di Burr Opper, solo per citarne alcuni) e di aver ospitato i migliori disegnatori del nostro paese. Ha fatto esordire artisti come Antonio Rubino, padre di Quadratino, Rosaspina, Pino e Pina; Attilio Mussino, ideatore di Bilbolbul, Schizzo, Mario e Maria. Questi artisti, con l’introduzione degli ottonari in rima sotto le vignette, hanno inoltre inventato un “codice” per il fumetto italiano rimasto nell’esperienza culturale di almeno due generazioni di lettori.
Successivamente il giornale si arricchisce dell’attività di Sergio “Sto” Tofano, padre del mitico Signor Bonaventura; di Mario Pompei, creatore di Bice e Baci; di George Mc Manus, ideatore di Arcibaldo e Petronilla; di Sullivan & Messmer autori di Felix the Cat - Mio Mao; di Giovanni Manca, autore di Pier Lambicchi e l’Arcivernice; e di Bruno Angoletta padre di Marmittone.
I protagonisti di questi “comics” sono spessissimo bambini, intenti a ordire scherzi, magari anche crudeli, che però, in omaggio alla morale imperante, alla fine pagano sempre. Ad essi si affiancano personaggi “adulti”, strani, irregolari, che vivono in mondi poco rassicuranti.
Fra le righe di questo prodotto, apparentemente innocente, si cerca di far passare messaggi anarcoidi, dettati da una insofferenza per gli schemi e in aperto contrasto con l’imperante ideale “borghese”, tuttavia in pochi se ne avvedono, ma ne godono pienamente i piccoli italiani di allora, che accolgono con entusiasmo la pubblicazione, decretandone l’enorme successo.
L’Italia di fine Ottocento è quella che si diverte ancora nelle piazze guardando i cartelloni dei cantastorie, mentre questi narrano le vicende di guerre del Ciclo carolingio: dai duelli di Orlando per la bella Angelica, alle lotte all’ultimo sangue tra Arabi e Franchi. Questi “lenzuoli” oltre ad essere “sciorinati” dal cantastorie, sono arricchiti da didascalie, a volte in ottonari in rima, il metro dei grandi poemi di Ariosto.
Risale alla fine dell’Ottocento anche la diffusione del fumetto, che ben si inserisce nel quadro dell’adozione delle mode e dei modi della borghesia internazionale da parte dei ceti privilegiati italiani. Fa parte della “modernizzazione” in atto. Il fumetto in Italia trova il suo pubblico soprattutto nel mondo dei ragazzi, così come lo spettacolo dei cantastorie e dei contastorie aveva affascinato le generazioni precedenti. Immagini con didascalie al margine inferiore, disegni che raccontano guerre, duelli e sangue. Il Corriere dei Piccoli, quindi, da un lato raccoglie un’eredità, quella dei cartelloni dei cantastorie, e dall’altro introduce le innovazioni che giungono dagli Stati Uniti. Una tavola ricca di colori, con scritte e rime, porta nelle case italiane l’America di Richard Felton Outcault e la Sicilia delle storie della Chanson de Roland.
Durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale anche questo giornale, però, viene “requisito” dal “potere” e diviene uno strumento per la diffusione degli ideali bellici, quindi i suoi fumetti si trasformano in fumi di guerra. Soprattutto nelle tavole di Tofolino, Schizzo (apparso dal n. 37 del 1912 al n. 16 del 1919) e Italino. Nel nome di quest’ultimo tutto un programma: uno sfrenato nazionalismo che esalta la guerra come diritto, come atto eroico. I nemici vengono messi alla berlina, derisi e raffigurati sempre come incarnazione di un male che deve essere distrutto con ogni mezzo, e di questo bisognava convincere anche i bambini, soprattutto i bambini.
La peculiarità dei fumetti italiani di tale periodo, che li rende unici, come si è accennato sopra, è anche dovuta ad una scelta tecnica, infatti essi non hanno la classica nuvoletta che racchiude le parole di ogni personaggio: tutti i dialoghi sono scritti in basso, quasi sempre in ottonari in rima, forse perché il pubblico italiano non è ancora pronto all’innovazione grafica che la nuvoletta rappresenta e preferisce conservare la tradizione orale dei cuntisti o forse perché il fumetto italiano non è figlio di quella leggerezza che si può permettere di volare in una nuvola: le parole in rima sono pesanti e cadono in basso, sotto i piedi dei personaggi. La didascalia è una radice, che lega alla terra e ricorda le miserie umane, fatte di violenza e dolore.
Uno dei maggiori disegnatori del tempo, come si è ricordato, Attilio Mussino, nato a Torino nel 1878, celebrato ancora oggi come uno dei più grandi fumettisti italiani, quando esce il primo numero del Corriere dei Piccoli, il 27 dicembre 1908, è già tra i collaboratori e pubblica in quello storico numero il primo “fumetto” italiano, una tavola con la storia del piccolo nero Bilbolbul. Anche Schizzo è uno dei suoi personaggi e sarà tra quelli utilizzati per propagandare le “imprese” militari italiane, esaltando nazionalismo e colonialismo, due dei mali, comuni alle nazioni industrializzate, che porteranno allo scoppio della Prima guerra mondiale.
In un’epoca in cui non c’è il televisore, e la radio non può trovarsi, per ragioni economiche, nelle case di tutti, il mezzo che consente alle idee di circolare con maggiore facilità è la carta stampata e, tra i meno acculturati che non possono leggere lunghi testi scritti, il fumetto, conseguentemente, diventa mezzo da utilizzare per fini politici e propagandistici.
Quelle di Tofolino, Schizzo e Italino, sono tavole dipinte, a colori, che su un giornale fanno effetto: nell’Italia di inizio Novecento non si è abituati al colore, quindi le tavole del Corrierino attirano anche gli adulti, non solo i ragazzi: tutti leggono i fumetti che esaltano la guerra, che mostrano gli “eroini” del Corriere dei Piccoli impegnati in battaglie, alle prese con bombe ed esplosivi, pronti a sconfiggere il nemico, chiunque esso sia.
Su quei fogli mitici, Tofolino, Italino e Schizzo sono ologrammi e scintille, macchie di colore ipnotizzanti, ideate per coinvolgere le masse, per convincere che la guerra è bella anche se fa male, come dice la canzone del cantautore Francesco De Gregori. Questi fumetti Italiani dei primi del Novecento non sono semplici storie illustrate di guerra: essi rappresentato il volgare tentativo di convincere le masse che la guerra è l’unico mezzo, l’unica via, ma che inoltre non è poi così pericolosa, perché basta buttare una bomba ed il nemico viene annientato. In queste tavole del Corriere dei Piccoli, il nemico è spesso un mostro, un essere deforme. A chi farebbe impressione o dispiacere uccidere un mostro, magari nero e con l’osso al naso? Per chi non era mai stato in Africa, i neri dell’Etiopia e dell’Eritrea erano esattamente come venivano illustrati dai fumetti.
La realtà è ben diversa, il nemico non è carne da macello, ma essere umano di spirito e materia. Prima di accorgersi di questo, l’Europa e il Mondo industrializzato, e quindi l’Italia, hanno immaginato e messo in atto il colonialismo e due terribili guerre mondiali, l’ultima delle quali semi-atomica.
I fumetti hanno più volte reclamizzato la violenza, come nel caso del Corriere dei Piccoli di quegli anni, più o meno direttamente, a seconda dei venti.
Nel dopoguerra, terminato il periodo in cui il Corriere dei Piccoli viene utilizzato a fini propagandisitici, i fumetti “moderni”, quelli con le “nuvolette”, guadagnano terreno. Tutto diventa più leggero: le parole cominciano a volare. Grandi storie d’avventura come Prince Valiant di Harold Foster o Anna della Giungla di Hugo Pratt trasformano l’immagine del Corrierino, aprendo la strada alle ragazze moderne di Grazia Nidasio e alle gallerie di personaggi di Cimpellin e Battaglia. L’ultima stagione interessante del giornale è quella degli anni ’60-’70, in cui l’ormai storico foglio ospita grandi personaggi come Lucky Luke, Luc Orient, Spirù e Fantasio.
Il Corrierino, in questa ultima fase, cede il testimone al Corriere dei ragazzi, sul quale compaiono le vicende di Lord Shark, nome che dà anche il titolo ad una serie a fumetti con testi di Mino Milani e disegni di Giancarlo Alessandrini e successivamente di Enric Siò, comparsa sul Corriere dei ragazzi tra il 1975 e il 1976.
La serie è ambientata nell’India di metà Ottocento sotto il dominio britannico. Protagonista è un ufficiale inglese, di nobile famiglia e con uno scandalo alle spalle che lo ha costretto a prendere servizio in un posto nella frontiera settentrionale, dove ha modo di dimostrare il suo eccezionale coraggio in vari combattimenti con ribelli e predoni delle montagne.
La sua fuga in India è legata al rifiuto di condurre all’altare una ragazza che non lo ama, nonostante le famiglie avessero preconfezionato il matrimoni. Lui scappa fingendosi vigliacco, ma in realtà lo fa per consentire a lei di sposare l’uomo di cui è innamorata.
In India, il nostro protagonista viene catturato da un capo ribelle e trascorre molte settimane in condizioni di prigionia tremende, nel frattempo i suoi commilitoni vengono uccisi ad uno ad uno, ma lui ottiene la libertà perché in un’occasione precedente aveva salvato senza saperlo la vita al figlio del capo. Quando ritorna al suo accampamento viene imprigionato dal suo comandante, furente con lui perché, sfinito, non è in grado di rispondere alle sue domande.
Decide così di disertare, aiutato dal suo attendente indiano e, per una serie di circostanze fortunose, si ritrova a capo di una banda di predoni. Con il nome di Lord Shark attua una sfilza di colpi ai danni degli inglesi, limitando al massimo lo spargimento di sangue, ma mettendo in ridicolo sistematicamente i suoi compatrioti, come una specie di Robin Hood indiano.
Tra le pagine del Corriere dei ragazzi, finalmente, la guerra non è più un atto eroico, perché il vero eroismo risiede in un’etica dell’altruismo e della pace, ed il fumetto che tratta questo tema lo fa in modo critico e giammai adulatorio, perché la guerra è brutta e fa male.